Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XII

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Se convenga tassar per legge i prezzi di alcuna merce

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Se convenga tassar per legge i prezzi di alcuna merce
XI XIII
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§. XII.

Se convenga tassar per legge i prezzi di alcuna merce.


S
I è creduto di poter per legge livellare i prezzi interni, massimamente di alcune derrate che servono all’uso più comune del popolo. Questo espediente forse è nato, dappoichè videro i magistrati che dalle loro leggi vincolanti non ne nasceva la pubblica abbondanza, che anzi i prezzi si rialzavano diminuendosi il numero de’ venditori. Per rimediare al male d’una

legge vincolante si ricorse ad altra legge vincolante ancor più, e si stabilì per autorità pubblica il prezzo, a cui dovevano vendersi alcune merci. Questi usi sussistono in varj Stati. La maggior parte degli uomini viene sedotta coll’aspetto d’una politica speculativa, la quale come la scuola sofistica fa abbellire questi ordigni constringenti, e rappresentarli come salutari allo Stato, e con una virtuosa, ma sorpresa decisione, e anticipato giudizio le fa abbracciare.

Esaminiamo gli effetti di simili [p. 81 modifica]prescrizioni. Supponiamo che il prezzo comune della merce realmente sia 12. lire, cosicchè se la contrattazione fosse libera nel mercato, comunemente si venderebbe la merce a lire 12. La legge comanda che il prezzo sia 11. Ecco sconvolto tutto l’ordine delle cose; il prezzo non è più in ragione diretta de’ compratori, e inversa de’ venditori. Il prezzo non è più il grado d’opinione, che danno gli uomini alla merce. Il prezzo è divenuto un atto arbitrario della legge, il quale fa torto al venditore, e conseguentemente tende a diminuire il numero di essi. Quali effetti ne accaderanno? I venditori scemeranno; i venditori si conformeranno il meno che si può alla legge, quindi di quella merce se ne trasmetterà agli esteri anche di più del superfluo; si cercherà di falsificare la merce, e frammischiarvi materie di minor valore; si cercherà di frodare il peso, e la misura, e gli esecutori della legge potranno bensì ansanti in moto e guerra continua sacrificare alcune vittime ree di un delitto arbitrariamente creato, senza che cessi perciò il disordine, o l'abbondanza pubblica regni mai; poichè una legge che abbia contro di se la natura, e [p. 82 modifica]l’interesse di molti, non può mai essere costantemente, e placidamente osservata, nè portare fauste conseguenze alla Città.

Le leggi tassative del prezzo sono ingiuste col compratore, se fissano un limite al di sopra del prezzo comune; sono ingiuste col venditore, se lo fissano al disotto, e sono inutili, se si attengono al vero livello del prezzo comune.

In fronte della maggior parte delle leggi, che le nazioni ereditarono da i loro padri si trovano scritte quelle ferree parole forzare, e prescrivere. I progressi che la ragione ha fatto in questo secolo, cominciano a farne vedere di quelle che hanno la benefica divisa invitare, e guidare. Qualunque sia la forma di governo, sotto la quale vive una società di uomini, a me pare che sia interesse del Sovrano di lasciare ai Cittadini la maggiore possibile libertà, e toglier loro quella sola porzione di naturale indipendenza, che è necessaria a conservare l’attual forma di governo. A me pare che ogni porzione di libertà che ultroneamente si tolga agli uomini, sia un errore in politica, essendochè quest’ultronea azione del legislatore sente in faccia del popolo il solo potere: l’imitazione [p. 83 modifica]gradatamente si diffonde, s’indeboliscono le idee morali nel popolo, e a misura che si diffida della sicurezza, si ricorre all’astuzia; laonde moltiplicati che sieno questi errori in politica fatalmente la nazione diverrà timida, poi simulata, finalmente inerte, e spopolata, se il potere troppo familiarmente esercitato giunga all’oppressione. Ma nella felicità dei tempi presenti dopo i progressi che la filosofia ha fatto in ogni parte del sapere colla dolcezza e umanità degli attuali governi, questi oggetti fortunatamente non trovansi, fuori che nella speculazione. È però cosa degna da osservarsi, che ogni passo superfluo che dal legislatore si faccia in limitazione delle azioni degli uomini, è una reale diminuzione di attività nel corpo politico tendente direttamente a scemare l’annua riproduzione.


Annotazioni.

Al vero livello del prezzo comune. Dalle cose esposte nel passato paragrafo l’Autore ne cava la conseguenza, che non debbansi assolutamente, e senza alcuna eccezione tassar i prezzi di qualunque cosa entri in commercio. Io non credo abbastanza approfondata questa questione tanto più importante, quanto si tratta di cangiare non [p. 84 modifica]solo ciò, che si usa, ma ciò, che si è sempre usato in quasi tutte le Nazioni; mentre la immemorabile consuetudine vi ha in molte contrattazioni piegata da lungo tempo la direzione, e l’economia de’ contratti, dalle quali sarebbe estremamente pericoloso il recedere. È necessario in primo luogo distinguere le merci di necessaria e giornaliera consumazione dalle merci di uso. Quelle, è necessario che sian pronte, sane, facili, chiaro ne sia e stabile il prezzo per il Popolo, acciocchè da queste comodità ne venga appunto la migliore contrattazione delle merci di uso, l’utile lavoro delle arti, la rapida circolazione, il libero sfogo del superfluo nel commercio esterno.

È necessario in secondo luogo distinguere i primi venditori dai venditori di queste merci di consumazione giornaliera.

È necessario in terzo luogo distinguere le professioni dell’industria da quelle, che sono di disciplina, quelle di lucro e di guadagno da quelle, che sono di mero servizio pubblico. Della prima specie sono quelle che impiegano materie prime, che servono all’uso, e le quali per essere modificate dalla mano dell’uomo non si distruggono perciò, ma anzi il buon uso loro dipende dalla conservazione di quelle: le Arti, e le manifatture sono di questo genere della seconda specie sono quelle professioni, che con una leggiera preparazione rivendono al Popolo le cose di giornaliera consumazione, come Fornaj, Macellaj, ed altri.

Premesse queste facili e chiare distinzioni ­ [p. 85 modifica]giova riflettere in primo luogo, che le merci, l’uso delle quali è l’immediata giornaliera consumazione, possono esser soggette all’inconveniente, che non siano così facilmente reperibili nell’istantaneo ed incessante bisogno, come le merci di semplice uso, le quali non sono consumate immediatamente, e possono continuare a circolare nei contratti; la consumazione è il limite della circolazione. In secondo luogo sarebbe desiderabile, che fra i primi venditori, ed i consumatori non ci fossero agenti intermedi, i quali pesano ugualmente sulla prima vendita, che sull’ultima compera. Ma quanto è desiderabile, altrettanto è impossibile il sopprimere questi rivenditori, i quali preparino, e custodiscano per la consumazione di tutte le ore il vitto del Popolo. Se fosse possibile, che tutti i Produttori che vendono di prima mano le materie d’immediata consumazione, potessero intervenire e contrattare giornalmente ed al minuto nelle vendite di questo genere, allora certamente sarebbe o dannoso, o inutile per lo meno il tassare il prezzo; perché l’utile concorrenza de’ primi venditori, quella de’ Compratori, o Consumatori metterebbero il prezzo al giusto livello. Ma questa ideale concorrenza, dalla quale tante conseguenze si cavano nella Politica Economica, non è simile all’attuale concorrenza delle merci, che si offrono al mercato. I Produttori vendono in massa ciò che i rivenditori rivendono al minuto; il numero de’ secondi debbe esser sempre per quanto libere si suppongano le [p. 86 modifica]contrattazioni ed il commercio dei prodotti, inferiore al numero de’ primi; anzi tanto più inferiore lo sarà, quanto più alto sarà il prezzo de’ generi alla prima vendita, perchè allora il guadagno della rivendita aggiunto all’alto valore della merce di consumazione se fosse troppo forte, incarendo a dismisura la mano d’opera, diminuirebbe certamente i consumatori, e diraderebbe la frequenza del Popolo, annientando l’industria. Se fosse troppo basso diverebbe tanto più picciolo il numero di questi rivenditori, perchè ogni professione si ristringe a misura che è picciolo il guadagno, che si fa esercitandola. Ora è da vedere se questi rivenditori debbano essere considerati, come commercianti, ai quali debba lasciarsi libero il premio dell’industria, e dell’attività loro personale, oppure come meri salariati per il comodo della vendita giornaliera delle vettovaglie. Se essendone necessariamente limitato il numero, si debba lasciare, oltre l’incarimento eventuale delle merci di consumazione tanto più facile, quanto più libero si suppone il commercio di queste in que’ paesi, ove l’avviamento sia più facile all’uscita che all’entrata dello Stato, ancora quell’incarimento che nascerà dalle speculazioni, e dall’avidità de’ Rivenditori. Non si tratta di tassare il prezzo alla prima vendita, ma di fissare colla tassa su la rivendita al minuto delle cibarie, un salario discreto ad una professione, che non è d’industria, nè di guadagno, ma di disciplina, e servizio pubblico necessario, incessante; non è la tassa che deve [p. 87 modifica]dar la legge al prezzo comune, ma il prezzo comune deve dar la legge alla tassa, e se il fissar questa al di sopra, o al di sotto di quello è ingiusto, perchè fa torto a’ venditori, o a’ compratori, non è inutile di fissarla sul prezzo comune medesimo, perchè in questa maniera non si fa torto alle prime vendite, e si fa vantaggio alle ultime compere, che sono le più utili alla ricchezza Nazionale: perchè quelle aumentano la produzione, queste l’industria, ed il commercio. Non si fa torto alle prime vendite, perchè il prezzo comune si suppone già fatto, e si fa vantaggio alle ultime compere, perchè si toglie di mezzo l’alterazione de’ contratti, ed il profitto eventuale di chi si vuol prevalere di un bisogno incessante, e che non diminuisce colla mancanza del soggetto medesimo. La consumazione è necessaria e determinata, sia che accrescano, sia che diminuiscano le cose consumabili; l’uso delle altre merci si ristringe, o si dilata colla presenza, o lontananza delle merci medesime. Non è dunque la tassa de’ prezzi imposta ai rivenditori, che produca li disordini frequenti, de’ quali il Popolo si querela; ma le privative autorizzate, o comprate, le quali limitano il numero di questi rivenditori al di qua del numero limitabile da se stesso in proporzione alla popolazione. Lo stabilire il numero di questi rivenditori è limitare in parte il numero de’ compratori in pregiudizio dei ven­ditori, ma lo stabilire il prezzo non è togliere la libertà, e la concorrenza del prezzo alla [p. 88 modifica]prima vendita, ma piuttosto è mettere i rivenditori se non in concorrenza di prezzo, almeno in concorrenza di bontà. Se sia libero a chiunque il presentarsi a fare il Fornajo, il Macellajo, purchè non oltrepassi la tassa da stabilirsi sul prezzo comune, questi rivenditori non limitati da alcuna privativa se non diminuiranno il prezzo, cercheranno di migliorare la condizione delle merci tassate. Que’ disordini, che si accennano in questo §. come provenienti dalla tassa, se ben si considerano, sono piuttosto effetti della privativa, con cui combinano in un corpo, che ha un solo interesse, queste professioni, che debbono restar bensì sotto la disciplina, ma isolate, e libere all’esercizio di chicchesia, e sollevate da quelle imposizioni, le quali impediscono la reciproca concorrenza del più leale esercizio di un così geloso impiego.