Memorie sulla dimora del sig. Cagliostro in Roveredo/I

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Lo Stampatore a chi legge II
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I.


N
Ell’ottavo anno dell’Impero di Giuseppe Cesare, entrato in Roveredo Cagliostro, ivi fermossi. E chi scrive, di là passando il vide da una finestra, ed era con lui sua moglie, circa le ore sette pomeridiane. E tutto il popolo lo riguardava con ammirazione. E alcuni dicevano esser egli l’Anticristo, altri un Mago, e così a vicenda disputavano. Egli poi gli derideva, dicendo, ignoro io stesso chi mi sia, so bene che curo gli infermi, che giovo agli ignoranti col consiglio, e somministro danaro ai poveri. Molte cose sono scritte di me con vanità e bugia, perchè il vero è a tutti celato. È necessario poi ch’io muoja, e allora si farà chiaro dalla mia penna ciò che io feci. Ed essendosi fatta notte, da lui molti radunavansi, e di molte cose l’interrogavano. E similmente la mattina riceveva tutti coloro, che cercavan parere sui loro incomodi. Molto poi essi temevano. Vennero da lui di notte alcuni amatori di cose nuove e recondite, cui manifestò le sue azioni: Battista fratello di Nicola, e Luigi, ed altri. E lo condussero in una casa da pigione, che aveva le grate, ed [p. 6 modifica]egli fuggì gridando è la carcere Parigina, e non volle abitarvi. Rimase pertanto all’albergo.