Nuovi poemetti/Note

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Pietole

[p. 215 modifica]Pag. 47La morte del Papa.

Vorrei che il lettore ricordasse certi particolari della morte di Papa Leone; per esempio questo: “Ricordò, tra l’altro, come all’età di otto anni... fosse colto da grave malore per una scalmanata presasi... correndo all’impazzata con alcuni suoi giovani amici... Il Papa è da stamane in preda da un delirio calmo, con brevi momenti di conoscenza„. (Tribuna del 15 luglio 1903). Morendo si torna bambini.

Poi bisognerà che io gli spieghi qualche parola del linguaggio montanino che usava la vecchiettina dell’Alpi.

accecare il metato: accendere il fuoco nel seccatoio delle castagne.

accòrto: facile, speditamente. Le gambe di Lano (Inf. 13, 120) non erano spedite? E Dante dice: accorte.

annata (è): sott. buona, piena.

appietto (fare): far la còlta definitiva.

aspro: irruvidito. [p. 216 modifica] avvilito: cascante di debolezza.

calcio: come a dire, il piede: contrario di cimo.

banco: armadio per la biancheria, per le vesti ecc.

bocconcin santo: un buon boccone che si tiene per l’ultimo.

borracciòlo: canovaccio.

brancata: una mano.

casalino: casuccia.

cimo: così, non cima, se è di foglie e d’alberi.

contende: sgrida.

Curre! Curre!: grido per chiamar le galline, che da ciò si chiamano anche currine.

danno (al): per es. a mangiar pampane, granturco.

età (esser d’): della stessa età.

godo: scompartimento.

grembialino: piccolo grembiale per riporvi le castagne.

gronde: i luoghi dove sono a confino i castagni. Le castagne sono di chi possiede, non l’albero donde cascano, ma il terreno dove cascano.

liso: rotto o ragnato: si dice dei drappi.

macèa: muricciolo a secco, pieno d’erba.

maggio o maggino: ramoscello fiorito.

male (stare): star molto male!

messe: polle, talle, vermelle.

omo, mi’ omo: si dice, scherzosamente, ai bambini, quasi a dichiararli l’aiuto di casa.

pannello: grembiule.

pensiere: cappiettino per infilarvi la rocca.

pianette: scodelle.

pover (il): il fu. [p. 217 modifica] pratina: plur. neutro.

prode: pro’.

rapacchiotto: bel figliolone.

rappa: spiga o pannocchia.

rastellinetto: piccolo rastello o ruspa per trovar le castagne in terra tra il mustio e le foglie.

recchia: (da reicula?): pecora che non fa ancora.

ricotto: non ricotta: latte ricotto.

ripire: salire.

rotello: da noi romagnoli, torsello. Rotolo di tela.

rumare: frugare.

ruspa (alla): a cercar le castagne dopo la colta definitiva.

sa (ci): conosce la strada.

sgaruglio: viottola dirupata.

smerlucciare: guardar qua e là in sospetto.

soppianello: specie di piccola madia.

sottofigli: figli de’ figli, nepoti abiatici.

stabbiato: il fimo delle pecore.

stradare: continuare la strada.

strino: peronospora.

tavìa: tuttavia.

tiglia: filamento della canapa.

torchiettino: da torchio: legame.

trèmo: tremito, scossone.

troppo (più). Così dicono, non pur troppo.

uguanno: quest’anno.

vincigli: rami di castagno, serbati al verno, per cibo alle bestie.

vuol: con un participio: sott. essere.

[p. 218 modifica] Pag. 63Zi Meo. Questo caro amico campagnolo morì, non proprio vecchio per quei posti, nell’ottobre del 1907, a 72 anni. Morì, più che per altro, di tristezza e scoramento. Onore alla sua memoria!

Pag. 67Nannetto Questo giovinetto morì a Zurigo dove suo padre, Giovanni Conti, altro mio caro amico, teneva bottega. Ora il padre è tornato alla nativa campagna di Castelvecchio, ma senza il diletto primogenito. Era pien d’amore Tonino o Nannetto, come lo chiamavo io, per i suoi, e voleva anche molto bene agli animali, colombi, conigli, caprine. Nella sua bottega a Zurigo teneva uno scoiattolo, nella sua casa a Castelvecchio aveva lasciate due colombe che accorrevano a un suo fischio.

Pag. 145La piada. È il pane, anzi il cibo, direi, nazionale dei romagnoli. Si fa senza lievito e si coce sopra un testo. Rassomiglia quindi agli azimi che gli Ebrei mangiano per Pasqua insieme cum lactucis agrestibus (Num. 9, 11). È pane affrettato e ognuno lo fa da sè. È il pane primitivo: panem... primo cinis calidus et fervens testa percoxit. deinde furni paulatim reperti (Sen. Ep. mor. 90, 24). O vedete, miei conterranei, che non c’è bisogno di cercare un equivalente italiano alla parola testo, che è latina latinissima (oltre testa, c’è anche testu)? E non è bello sostituire a piada (da plata, che è un relitto greco nelle nostre spiaggie che tanti altri ne hanno, come matra per madia, calzèdar per brocca od orcio), quella cara pizza che i napoletani si meraviglierebbero molto se sapessero che i [p. 219 modifica]nostri contadini la mangiano a desinare e a cena. Piada dunque cotta sul testo. E sia il pane del Calendimaggio, la qual festa è o deve essere il passaggio, il Phase, dalla vecchia Èra alla nuova. E nel passaggio è convenevole cibo quello dei tempi primi, quello degli Ebrei che scampano alla servitù, quello dei venuti dall’oriente nella terra Saturnia. Ricordate? Leggete Virgilio, nell’Eneide, libro VII, versi 109 e segg. Dove imparerete che in latino si chiamavano quadrae quelli che noi eredi e fedeli di Roma chiamiamo quadretti. E vedete Hor. Ep. I, 17, 49; Verg. Moretum 47; Sen. Ben. IV, 29, 2.

Pag. 153Gli emigranti nella luna. Lessi in un giornale che alcuni poveri contadini russi s’erano dati a credere di poter salire sulla luna e lì trovare terra e libertà. Uno studente leggeva a loro, mi pare, un romanzo di Verne. Nel mio poemetto si tratta invece d’un libro d’astronomia.

Pag. 199Pietole. Bisogna aver presenti di Virgilio, specialmente l’Ecloga I, IV, IX, le Georg. tutte, e in particolare i notissimi episodi delle lodi d’Italia e della vita rustica, l’Eneide qua e là, fermandosi sui versi 521 sgg. del libro III, sui 782 sgg., 793 sgg. del libro VI, sui 91 sgg. dell’VIII. Ma certo anche questo mio additamento è superfluo. I miei lettori, non molti ma buoni, conoscono colui che è veramente il nostro poeta nazionale.
I quali, intorno ai particolari accennati nella strofa V, devono ricordare Donato in Vergilii vita, 1-6. [p. 220 modifica]Narra Donato che il padre di Virgilio, prima fattore poi anche genero d’un tal Magio, accrebbe, il piccolo bene del suocero e con altro e con la coltivazione delle api. Secondo questa Vita, la madre di Virgilio lo avrebbe partorito in campagna, la mattina dopo un sogno augurale. Ella, andando ai campi, sentì le doglie, e allora svoltò dalla sua strada e partorì in subiecta fossa. Che questa fosse un solco, e un solco per il grano, argomento io dal fatto che Virgilio nacque il 15 ottobre. Secondo l’uso del paese, fu nel luogo stesso della nascita piantata una verga di pioppo, che divenne un gran pioppo e si chiamò l’albero di Virgilio e fu considerato sacro; e le donne gravide o uscite di parto vi venivano a fare o sciogliere voti.
Le strane voci del contadino sono tratte da un libretto che Clinio Cottafavi scrisse per gli emigranti del Mantovano. È intitolato Vademecum dell’Emigrante Mantovano, e contiene, oltre molte notizie, le parole e frasi più comuni e necessarie per un emigrante. È un libretto santo che stringe il cuore. Ma via coraggio! L’emigrazione, che pare una fuga, porta poi un grande affluire d’insolita ricchezza nelle campagne italiche, e darà, giova credere, e in tempo non lontano, tutto l’agro nostro in mano a forti, attenti, felici, virgiliani, lavoratori sul suo. Il che si adombra nella conclusione della mia ecloga.
Questo, s’intende, per una faccia del problema, per quelli, cioè, che vanno bensì ma tornano. Quelli che si fermano là dove hanno trovato da far bene... oh! questi altri, se non sono partiti con l’italianità [p. 221 modifica]nell’intelletto e nel cuore, se in patria non hanno conosciuto la scuola, sarà ben difficile che cerchino per i loro figli nati nella nuova loro patria l’educazione e l’istruzione italiana che essi nella patria antica non ebbero! E tuttavia molto si può e si deve fare.... Ma torniamo a quelli che tornano. I quali tornati, trovano quasi sempre questo saluto nella loro terra.
“... egli ha (l’emigrato) ancora un nemico mortale, che è stato e sarà la causa di molti suoi mali: l’ignoranza. Il suo desiderio di possedere la terra è così ardente, così febbrile; la fiducia che egli ha di saperla fecondare colle sue braccia è tale e tanta, che la paga il doppio, più spesso il triplo del suo valore. Il proprietario, che lo aveva oppresso in passato e che deve ora essere espropriato, profitta di questa ignoranza, e compie l’ultimo sfruttamento. Questo è un fatto generale, notissimo, che segue su larga scala così nel nord come nel sud. La conseguenza inevitabile è che il lavoratore avrà dal capitale, con tanto sudore raccolto, il terzo della rendita che dovrebbe avere„.
Sono parole, queste, d’un gran vecchio... Ecco, a me pare che il gran vecchio, che ha dette queste parole, sia colui che a poppa d’una nave, mentre s’alzava il grido Italiam Italiam, libava e pregava e consigliava e augurava. In verità quanto tempo è che egli segna la via e indica il male e mostra i rimedi! Di lui si può ripetere ciò che di Mazzini disse Garibaldi: Quando tutti dormivano, egli solo vegliava. Il gran vecchio che parla alto nel silenzio [p. 222 modifica]di tutti, è Pasquale Villari (Scritti sulla emigrazione, Bologna, 1909). E anche questa volta propone al guaio il rimedio:
“Ora io mi domando: non potrebbe l’Umanitaria di Milano fare essa quel che fanno queste Società speculatrici, volgendo a vantaggio dei lavoratori ciò che esse hanno intrapreso a vantaggio dei proprietari? Basterebbe che facesse l’esperimento, comprando due tenute, una negli Abruzzi, l’altra nella provincia di Belluno o di Udine, per rivenderle in piccoli lotti agli emigrati, che tornano dall’America, al prezzo normale del loro valore reale, in modo da riprendere tutto il suo capitale, con l’interesse del 3 o del 4%, ripagandosi anche di tutte le spese fatte.
Questa operazione semplicissima eserciterebbe la sua azione sopra una zona assai più vasta dei ristretti confini in cui l’Umanitaria direttamente agirebbe. Impedirebbe l’azione delle Società che speculano a danno dei lavoratori; manterrebbe il prezzo delle terre nei limiti del loro valore reale, senza artificialmente rialzarlo. Renderebbe inoltre, senza nessun proprio aggravio, un beneficio enorme alle condizioni economiche dell’emigrato, compiendo un’opera veramente umanitaria.
È questa la proposta che io oso sottomettere alla direzione della filantropica Società milanese... „.
La società milanese ha accettato la proposta? Lo ignoro, ma mi auguro di sì. Intanto giovi aver terminato questo mio libretto col nome venerato e amato di questo difensore d’ogni causa buona.
Possa egli vincerle sempre!