Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo settimo

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Detti memorabili di Filippo Ottonieri
Capitolo settimo

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Detti memorabili di Filippo Ottonieri
Capitolo settimo
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Si ricordano anche parecchi suoi motti e risposte argute: come fu quella ch’ei diede a un giovanetto, molto studioso delle lettere, ma poco esperto del mondo; il quale diceva, che dell’arte del governarsi nella vita sociale, e della cognizione pratica degli uomini, s’imparano cento fogli il dì. Rispose l’Ottonieri: ma il libro fa cinque milioni di fogli.

A un altro giovane inconsiderato e temerario, il quale per ischermirsi da quelli che gli rimproveravano le male riuscite che faceva giornalmente, e gli scorni che riportava, era usato rispondere, che della vita non è da fare più stima che di una commedia; disse una volta l’Ottonieri: anche nella commedia è meglio riportare applausi che fischiate; e il commediante male instrutto nell’arte sua, o mal destro in esercitarla, all’ultimo si muore di fame.

Preso dai sergenti della corte un ribaldo omicida, il quale per essere zoppo, commesso il misfatto, non era potuto fuggire; disse: vedete, amici, che la giustizia, se bene si dice che sia zoppa, raggiunge però il malfattore, se egli è zoppo.

Viaggiando per l’Italia, essendogli detto, non so dove, da un cortigiano che lo voleva mordere: io ti parlerò schiettamente, se tu me ne dai licenza; rispose: anzi avrò caro assai di ascoltarti; perché viaggiando si cercano le cose rare.

Costretto da non so quale necessità una volta, a chiedere danari in prestanza a uno, il quale scusandosi di non potergliene dare, concluse affermando, che se fosse stato ricco, non avrebbe avuto maggior pensiero che delle occorrenze degli amici; esso replicò: mi rincrescerebbe assai che tu stessi in pensiero per causa nostra. Prego Dio che non ti faccia mai ricco.

Da giovane, avendo composto alcuni versi, e adoperatovi certe voci antiche; dicendogli una signora attempata, alla quale, richiesto da essa, li recitava, non li sapere intendere, perché quelle voci al tempo suo non correvano; rispose: anzi mi credeva che corressero; perché sono molto antiche.

Di un avaro ricchissimo, al quale era stato fatto un furto di pochi danari, disse, che si era portato avaramente ancora coi ladri.

Di un calcolatore, che sopra qualunque cosa gli veniva udita o veduta, si metteva a computare, disse: gli altri fanno le cose, e costui le conta.

Ad alcuni antiquari che disputavano insieme dintorno a una figurina antica di Giove, formata di terra cotta; richiesto del suo parere; non vedete voi, disse, che questo è un Giove in Creta?

Di uno sciocco il quale presumeva saper molto bene raziocinare, e ne’ suoi discorsi, a ogni due parole, ricordava la logica; disse: questi è propriamente l’uomo definito alla greca; cioè un animale logico.

Vicino a morte, compose esso medesimo questa inscrizione, che poi gli fu scolpita sopra la sepoltura.


 OSSA DI FILIPPO OTTONIERI
NATO ALLE OPERE VIRTUOSE
E ALLA GLORIA
VISSUTO OZIOSO E DISUTILE
E MORTO SENZA FAMA
NON IGNARO DELLA NATURA
NÉ DELLA FORTUNA SUA