Ordinanza Consiglio di Stato - 19 luglio 2005, n. 3846

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2005 diritto diritto Ordinanza Consiglio di Stato - 19 luglio 2005, n. 3846 Intestazione 2 giugno 2008 50% Da definire

Organo giudicante: Consiglio di Stato
Deposito in Cancelleria: --


Consiglio di Stato

Sezione VI

Ordinanza 19 luglio 2005, n. 3846



FATTO

1. La società ricorrente ha partecipato alla gara, indetta in attuazione della l. n. 249 del 1997, ai fini del rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva, su frequenze terrestri in ambito nazionale, ed, essendosi classificata con l'emittente "Europa 7" al settimo posto della relativa graduatoria, ha ottenuto il rilascio di una delle suddette concessioni (D.M. 28 luglio 1999), nella quale, pur prevedendosi che in forza del suddetto provvedimento l'istante aveva titolo ad installare ed esercitare una rete d'impianti di radiodiffusione televisiva, si rinviava, per l'assegnazione delle specifiche frequenze, all'adozione, successiva, del relativo piano.

2. Non avendo le competenti amministrazioni proceduto all'assunzione di alcun provvedimento di assegnazione delle frequenze, la società ricorrente, sul presupposto che in forza del rilascio della citata concessione aveva conseguito il diritto soggettivo all'attribuzione delle frequenze necessarie per svolgere l'attività di radiodiffusione televisiva, ha proposto il ricorso di primo grado con cui ha chiesto:

a) il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere l'attribuzione delle frequenze de quibus e la conseguente condanna, ai sensi degli artt. 33 e 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, così come modificato dall'art. 7 della l. n. 205 del 2000, a provvedere all'assegnazione delle stesse;

b) la condanna delle amministrazioni convenute, ciascuna per la parte di sua responsabilità, ai danni subiti, come quantificati in sede di memoria conclusionale, in relazione alla mancata tempestiva copertura di almeno l'ottanta per cento del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia.

3. Si sono costituiti il Ministero delle Telecomunicazioni e l'Agenzia per le Garanzie nelle comunicazioni, i quali, dopo aver illustrato l'evoluzione della normativa disciplinante la materia oggetto della presunta controversia, hanno contestato con dovizia di argomentazioni la fondatezza delle prospettazioni del ricorso, chiedendone il rigetto.

4. Il Tar ha ritenuto, con la sentenza impugnata, che il punto centrale della controversia fosse la natura della situazione soggettiva maturata a favore di Centro Europa in forza del menzionato atto concessorio.

Al riguardo - ha notato il Tar - l'interessata ha affermato, richiamando alcuni articoli (2 e 5) del regolamento dell'AGCOM in materia di rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva, che il relativo oggetto "consisteva indiscutibilmente nell'attribuzione delle radiofrequenze, utilizzando le quali i richiedenti possono operare mediante impianti di trasmissione".

5. Il Tar ha sottolineato che, se l'oggetto della concessione de qua, consiste nell'attribuzione di determinate frequenze, allora la mancata assegnazione delle stesse costituisce un vizio del provvedimento ampliativo, che non può non comportarne l'illegittimità per violazione delle citate disposizioni regolamentari, tesi peraltro sostenuta dalla società istante in precedenti ricorsi, per cui, conseguentemente, sarebbe contraddittorio collegare la nascita di un diritto soggettivo ad ottenere le frequenze ad un provvedimento che risulterebbe in palese contrasto con la disciplina in materia.

6. Il Collegio giudicante in primo grado ha ritenuto di accedere ad una diversa ricostruzione della vicenda, tenendo conto che la concreta individuazione delle frequenze (le quali, giova ripeterlo, costituiscono elemento essenziale di una concessione per la radiodiffusione televisiva, tanto che in loro assenza il provvedimento risulta incapace di produrre i propri effetti tipici) è stata posticipata e subordinata alla successiva adozione dei necessari provvedimenti delle amministrazioni competenti.

7. In sostanza, in ordine alla natura dei provvedimenti d'assegnazione delle suddette frequenze, il Tribunale, concordando con la difesa erariale ed i rilievi da essa svolti in sede di discussione orale in primo grado, ha osservato che tali provvedimenti hanno natura autoritativa, in linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 102/1990, secondo cui l'oggetto della concessione per la radiodiffusione televisiva consiste nell'attribuzione del potere d'installare ed esercitare una rete d'impianti che impegnano determinate porzioni di etere (frequenze radioelettriche) il cui governo tecnico spetta allo Stato, per il tramite delle amministrazioni a ciò competenti.

8. Deve essere sottolineato che i ripetuti provvedimenti - continua il Tar - in relazione alla natura tecnica delle relative valutazioni e degli interessi pubblici e privati coinvolti, non possono non essere caratterizzati da ampia discrezionalità.

9. In tale contesto, quindi, la situazione soggettiva derivante in capo alla società ricorrente dal rilascio della concessione, non ha - secondo il Tar - la natura di diritto soggettivo alla assegnazione di determinate frequenze, bensì è un interesse qualificato a che le amministrazioni adottino, anche debitamente diffidate sulla base della procedura di silenzio-rifiuto, alla luce della normativa vigente all'atto della assunzione della relativa determinazione, gli atti necessari al fine di consentire che la concessione a suo tempo rilasciata possa produrre i suoi effetti tipici.

10. Una simile interpretazione non deve essere intesa - secondo il Tar - nel senso che le amministrazioni resistenti siano in ogni caso vincolate, in questa successiva fase, ad adottare provvedimenti positivi d'assegnazione delle frequenze, atteso che circostanze fattuali e normative, successive al rilascio della concessione, da evidenziare con chiarezza nelle suddette determinazioni, ben potrebbero precludere una simile eventualità.

11. Pertanto il Tar conclude nel senso che la pretesa avanzata in ricorso al riconoscimento di un diritto all'assegnazione delle frequenze e la domanda di condanna, ex artt. 33 e 35 del d. lgs. n. 80/1998, così modificato dall'art. 7 l. n. 205/2000, a provvedere all'assegnazione delle stesse, sia inammissibile.

12. Il Collegio di primo grado poi, in relazione alla seconda delle domande avanzate dalla società ricorrente, tesa ad ottenere la condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti per la mancata tempestiva assegnazione delle frequenze in adempimento di quanto disposto dalla concessione rilasciata nel 1999 osserva che la pretesa in questione si fonda sul presupposto, non condiviso alla luce delle argomentazioni spiegate in punto d'inammissibilità della prima domanda, che l'istante avesse acquisito, in forza del provvedimento ampliativo rilasciatole nel 1999, un diritto soggettivo al conseguimento delle necessarie frequenze, per cui il comportamento assunto dalle amministrazioni a riguardo si sarebbe, conseguentemente, configurato come una sorta d'inadempimento agli obblighi nascenti dalla concessione.

13. Poiché la situazione soggettiva dell'interessata viene dal Tar, per quanto illustrato, ritenuta posizione d'interesse legittimo pretensivo a che le competenti amministrazioni integrino il contenuto del provvedimento, fermo il potere delle stesse di adottare eventualmente determinazioni negative sulla base di circostanze fattuali e di diritto sopravvenute, la domanda della società ricorrente è stata rigettata.

14. Avverso la sentenza di primo grado propone appello Centro Europa 7 s.r.l. ricordando che, a seguito della gara indetta dal Ministero delle Comunicazioni in attuazione della legge 31 luglio 1997 n. 249 (c.d. legge Maccanico), ai fini del rilascio delle concessioni per la radiodiffusione su frequenze terrestri in ambito nazionale, essendosi classificata al settimo posto della relativa graduatoria, aveva ottenuto il rilascio di una delle suddette concessioni.

15. Più precisamente la società puntualizzava che il 28 luglio 1999 il Ministro delle Comunicazioni aveva sottoscritto la citata concessione; che il 22 settembre 1999 la concessione di Europa 7 era stata registrata presso la Corte dei Conti; che il successivo 28 ottobre 1999 il titolo concessorio (di cui al d.m. 28 luglio 1999) era stato materialmente rilasciato alla ricorrente.

16. L'art. 1 della menzionata concessione dispone che:

"Alla società Centro Europa 7 a r.l. con sede in Roma, con denominazione Europa 7, sono concessi l'installazione e l'esercizio di una rete d'impianti di radiodiffusione televisiva a copertura nazionale tra quelle individuate nelle deliberazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni concernenti "Piano nazionale d'assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva" citate nelle premesse. La rete d'impianti di radiodiffusione è costituita da impianti ubicati nei siti individuati dal Piano nazionale d'assegnazione delle frequenze, utilizzante un raggruppamento di tre canali di cui uno del gruppo A, uno del gruppo B ed uno del gruppo C, tra i 17 canali generici allocati in ciascun sito, con i quali la concessionaria deve assicurare la copertura di almeno l'ottanta per cento del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia..." (art. 1 co. 1).

17. "L'adeguamento degli impianti alle prescrizioni del piano d'assegnazione dovrà avvenire, secondo il programma d'adeguamento stabilito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d'intesa con il Ministero delle comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti dalla data di comunicazione del presente provvedimento. Il suddetto termine potrà essere prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal Ministero delle comunicazioni, d'intesa con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni" (co.2).

18. Preso atto che la concessione non conteneva l'assegnazione di specifiche frequenze (bensì la generica indicazione di un gruppo di canali) la ricorrente diffidava stragiudizialmente il Ministero ad integrare il titolo concessorio.

19. La Direzione Generale Concessioni ed autorizzazioni del Ministero riscontrava la diffida della ricorrente osservando - per quel che qui interessa - quanto segue:

"questo Ministero ha rilasciato la concessione a codesta Società, così come alle altre società destinatarie di provvedimento concessorio, secondo le prescrizioni tecniche sopra riportate, ed ha stabilito che l'adeguamento degli impianti al piano dovrà avvenire secondo un programma concertato con l'Autorità, entro il termine di 24 mesi dalla notifica della concessione.

20. Per quanto riguarda la seconda delle contestazioni mosse, riguardante la motivazione per la quale codesta Società, pur avendo ricevuta la concessione, non è stata posta in condizione di dare inizio all'attività, si osserva che l'articolo 16, comma 2 del regolamento per il rilascio delle concessioni di cui alla delibera dell'Autorità n. 78/98, stabilisce che coloro che ottengono la concessione, nelle more della completa attuazione del piano, possano proseguire nell'esercizio dell'attività radiotelevisiva con gli impianti censiti ai sensi dell'art. 32 della legge n. 223/1990 legittimamente ed effettivamente eserciti alla data di presentazione della domanda.

21. Si tratta di una facoltà che il regolamento attribuisce ai richiedenti che, al momento della presentazione della domanda, erano già titolari di una concessione per la radiodiffusione televisiva o comunque effettuavano tale attività sulla base di un legittimo titolo.

22. La circostanza che codesta Società non possa ancora dare inizio all'attività per la quale ha ottenuto la concessione dipende, pertanto, dal fatto che non si è ancora pervenuti alla fase d'attuazione del piano e che codesta Società, non esercendo all'atto della domanda una rete di diffusione televisiva, non può usufruire della facoltà di cui all'art. 16, comma 2 del regolamento n. 78/98. Sarà comunque cura di questo Ministero attivarsi affinché nel più breve tempo possibile si possa pervenire, di concerto con l'Autorità, alla definizione del programma d'adeguamento al piano che, una volta attuato, consentirà a tutte le concessionarie di esercire la propria rete secondo le prescrizioni tecniche derivanti dal piano nazionale d'assegnazione delle frequenze televisive".

23. A questo punto Europa 7 impugnava immediatamente innanzi al Tar Lazio la nota del Ministero. Tale ricorso è stato discusso innanzi alla stessa Sezione del menzionato Tar (stesso Presidente, stesso relatore e stesso terzo componente del Collegio) lo stesso giorno (14 luglio 2004) in cui è stato discusso il ricorso n. 12589/03 respinto con la sentenza impugnata con l'appello in esame.

24. Ebbene con la sentenza n. 9325/04 in pari data rispetto alla sentenza qui impugnata, il Tar ha accolto il citato ricorso di Europa 7, sulla base della seguente motivazione:

"Al riguardo il Collegio osserva che, giusta quanto disposto dal provvedimento concessorio, l'amministrazione era tenuta ad adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire al suddetto provvedimento di produrre i propri effetti tipici ovvero, a negare l'assegnazione delle frequenze, procedendo, pertanto, ad una sostanziale revoca della concessione la quale, in assenza delle frequenze, risultava essere totalmente inefficace, sulla base di una specifica e dettagliata illustrazione dei presupposti di fatto e di diritto che rendevano impossibile tale operazione.

La contestata determinazione, invece, dopo avere richiamato il disposto della concessione a suo tempo rilasciata e le ragioni che hanno precluso l'individuazione in tale sede delle frequenze da assegnare fa un rinvio ad un generico impegno del Ministero di attivarsi al fine di procedere, di concerto con l'AGCOM, alla definizione del programma di adeguamento, e, pertanto, per tale aspetto, risulta in palese contrasto con l'obbligo assunto delle competenti amministrazioni nel provvedimento concessorio, tenuto conto, altresì, che non è stata indicata alcuna ragione in base alla quale non era stato possibile procedere, successivamente al rilascio di quest'ultimo, alla definizione del programma di adeguamento.

In tale contesto, quindi, deve essere sottolineato che con l'adeguata determinazione l'amministrazione non ha poi in alcun modo ottemperato all'obbligo, facente capo alla stessa, di pronunciarsi sulla diffida notificata nel 1999 e, conseguentemente, la doglianza in trattazione è suscettibile di favorevole esame con accoglimento del proposto gravame e con assorbimento delle altre doglianze dedotte".

25. In definitiva lo stesso Tar del Lazio ha riconosciuto - rileva la società appellante - che anche prima del decorso dei 24 mesi di cui all'art. 1 comma 2 della concessione rilasciata ad Europa 7 sul Ministero incombesse l'obbligo d'assegnare le frequenze, in quanto obbligo assunto dalle competenti amministrazioni nel provvedimento concessorio e che tale obbligo non sia stato adempiuto.

26. Nella sentenza qui impugnata il Tar afferma che la situazione giuridica soggettiva derivante dal rilascio della concessione "non ha natura di diritto soggettivo all'assegnazione di determinate frequenze, bensì è d'interesse qualificato a che le competenti amministrazioni adottino, anche debitamente diffidate sulla base della procedura del silenzio-rifiuto, alla luce della normativa vigente all'atto dell'assunzione della relativa determinazione, gli atti necessari al fine di consentire alla concessione a suo tempo rilasciata di produrre i suoi effetti tipici".

27. Per l'avvenuto decorso di 24 mesi previsti dalla concessione, e degli ulteriori 12 mesi, senza il rilascio delle frequenze oggetto della concessione Europa 7 ha convenuto in giudizio le Amministrazioni appellate, proponendo le domande risarcitorie già richiamate.

28. Europa 7 assume (e documenta mediante produzione di atti) di avere subito ingenti danni a causa del ritardato adempimento della concessione rilasciatale ed assume di essere destinata a subirne altri qualora l'inadempimento divenisse definitivo.

29. Le amministrazioni resistenti - secondo Europa 7 - si sarebbero limitate a ricostruire lo sviluppo della legislazione radiotelevisiva in materia, soffermandosi, in particolare, sugli interventi normativi successivi al rilascio della concessione per cui è causa.

30. Europa 7 da una parte ha sostenuto l'inconferenza della normativa successiva al rilascio della concessione, dall'altra ne ha dedotto l'illegittimità costituzionale e comunitaria.

31. Il Tar del Lazio da una parte ha ritenuto l'inammissibilità della domanda diretta alla condanna della p.a. all'assegnazione delle frequenze, per il fatto che la società, nonostante il rilascio della concessione, sarebbe titolare solo di un interesse legittimo pretensivo, mentre l'amministrazione avrebbe un potere autoritativo, connotato da ampia discrezionalità, di assegnazione delle frequenze; dall'altra ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento danni per equivalente, poiché dalla concessione, per come rilasciata, non sarebbe derivato un diritto soggettivo al conseguimento delle necessarie frequenze.

32. L'appello è articolato sui seguenti motivi in diritto:

32.1. Perdurante giurisdizione del giudice amministrativo anche dopo la sentenza Corte Cost. n. 204 del 2004.

32.1.1. Ritiene la società appellante che, sulla controversia, non abbia alcuna incidenza, in punto di giurisdizione, l'intervento manipolativo con cui la Corte Costituzionale è di recente intervenuta sulla formulazione dell'art. 33, comma 1 d. lgs. n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7 lett. a) della l. n. 205/2000.

32.1.2. Infatti, anche a seguito della sentenza n. 204 del 2004 sarebbero devoluti al giudice amministrativo le controversie in materie di servizi pubblici e relative alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. 14 novembre 1995 n. 481".

3.2.1.3. La controversia in esame - secondo la società appellante - sarebbe una lite sulla natura e sugli effetti di un atto concessorio, devoluta, secondo la giurisprudenza amministrativa e della Corte regolatrice, sin dalla vigenza dell'art. 5 l. n. 1034/71, alla giurisdizione esclusiva della p.a.

32.2. Erronea qualificazione della situazione giuridica soggettiva vantata da Europa 7.

3.2.2.1. L'appellante sostiene che, per principio pacifico della dottrina e della giurisprudenza, nella fase antecedente la stipula di una concessione (di beni o di servizi) la situazione giuridica soggettiva vantata dal privato è effettivamente di interesse legittimo pretensivo; mentre lo stesso privato, dopo la concessione, vanta invece un diritto soggettivo perfetto a seguito dell'adozione o stipula dell'atto (concessione) che disciplina i diritti delle parti pubbliche e private (ex multis, da ultimo, Cons. Stato V, 15 marzo 2004 n. 1280), di talché è ben possibile che la parte non inadempiente richieda al giudice amministrativo la condanna della parte inadempiente all'adempimento delle obbligazioni dedotte in concessione, anche in forza della giurisdizione esclusiva che in materia compete al giudice amministrativo.

32.2.2. Dopo il rilascio della concessione, avvenuto in data 28 luglio 1999, la situazione giuridica soggettiva di Europa 7 ha acquisito indiscutibilmente la consistenza del diritto soggettivo; con tale atto infatti sono stati disciplinati gli obblighi ed i diritti delle parti.

32.2.3. Secondo l'appellante l'attività discrezionale della p.a. si esplicherebbe, in campo radiotelevisivo, a monte del rilascio della concessione (con i provvedimenti di pianificazione, nel momento in cui si decide la procedura d'aggiudicazione delle concessioni, nel momento in cui si decidono i criteri di rilascio delle concessioni) mentre "a valle" di queste scelte discrezionali (dopo il rilascio delle concessioni) sarebbe da escludere qualsiasi possibilità per la p.a. di non onorare gli impegni assunti con il concessionario.

32.2.4. D'altro canto, ragionando diversamente, la discrezionalità invocata dalla p.a. si trasformerebbe in arbitrio, quanto meno sotto due distinti profili - nota l'appellante - del sistema di tutela: infatti sul versante della tutela dei pubblici interessi l'Amministrazione dopo aver scelto (discrezionalmente) come soddisfare alcuni pubblici interessi potrebbe decidere ad libitum di non soddisfarli più; mentre, all'opposto, sul versante della tutela dei privati affidatari del bene o del servizio, poiché il legittimo affidamento riposto dal privato in ordine all'adempimento della p.a. agli obblighi assunti in sede di concessione non può essere impunemente deluso se non a pena di mettere in crisi lo stesso istituto della concessione.

32.2.5. Il Ministero ha rilasciato la concessione dopo aver richiamato il Regolamento per il rilascio delle concessioni di cui alla delibera AGCOM n. 78/98/CONS. ed il relativo disciplinare (d.m. 8 marzo 1999) e vista la graduatoria degli aspiranti concessionari stilata da apposita Commissione; nonché considerato che Europa 7 è stata collocata in posizione utile per il rilascio della concessione richiesta e che la stessa era in possesso dei requisiti richiesti dal regolamento citato.

32.2.6. Dopo queste valutazioni discrezionali alla p.a. non ne residuavano altre se non a pena di trasformare la discrezionalità in arbitrio, secondo l'appellante.

32.2.7. L'assegnazione delle frequenze, tra i 17 canali allocati in ciascun sito, previsti nel piano d'assegnazione già approvato, non sarebbe - secondo l'appellante - attività discrezionale ma attività vincolata, in quanto riconducibile nell'ambito della disciplina dei diritti e degli obblighi nascenti dalla concessione.

32.2.8. Anche il Ministero delle comunicazioni - secondo la ricorrente - sarebbe stato di ciò consapevole, quando, nella nota 22 dicembre 1999 inviata ad Europa 7, si era impegnato "ad attivarsi affinché nel più breve (tempo) possibile" si potesse pervenire "di concerto con l'Autorità, alla definizione del programma di adeguamento al piano d'assegnazione delle frequenze".

32.2.9. In sostanza la stessa p.a. non avrebbe mai messo in dubbio l'obbligatorietà dell'assegnazione né la certezza, nell'an, dell'obbligo assunto, trincerandosi piuttosto dietro quel termine (entro il termine di 24 mesi dalla notifica della concessione) contenuto nell'art. 1, co. 2, della concessione: un termine, che, peraltro, non rendeva incerto, neppure nel quando, l'obbligo assunto, atteso che l'adempimento non avrebbe potuto comunque tardare oltre il termine pattuito (dies interpellat pro homine).

32.2.10. Il Tar ha quindi opposto ad Europa 7 una discrezionalità che non era stata opposta neppure dalle amministrazioni, quando ha ritenuto che la "concreta individuazione delle frequenze... è stata posticipata e subordinata alla successiva adozione dei necessari provvedimenti da parte della p.a.; con ciò consentendo la posposizione dell'obbligo nascente della concessione, nel mentre, con la sentenza coeva sul silenzio-rifiuto (sent. n. 9325/2004) aveva ritenuto il generico impegno assunto nella nota ministeriale del 22 dicembre 1999 in "palese contrasto" con "l'obbligo assunto dalle competenti amministrazioni nel provvedimento concessorio".

32.2.11. Secondo il Tar poi - nota l'appellante - la mancata indicazione delle frequenze nell'atto concessorio costituirebbe "un vizio del provvedimento ampliativo che non potrebbe non comportarne l'illegittimità per violazione delle disposizioni regolamentari (tesi peraltro sostenuta dall'attuale istante in precedenti ricorsi) per cui, conseguentemente, risulterebbe contraddittorio collegare la nascita di un diritto soggettivo ad un provvedimento che risulterebbe in palese contrasto con la disciplina in materia.

32.2.12. L'appellante sostiene che la concessione non sia illegittima ab origine, avendo solo posticipato l'obbligo di assegnazione delle frequenze, prevedendolo in concessione, con piena vincolatività.

32.2.13. Al più la concessione avrebbe reso l'obbligo non eseguibile per 24 mesi, avendo fissato il termine ultimo per l'adempimento entro 24 mesi dalla notifica della concessione.

33. Con terzo motivo si sostiene la fondatezza della domanda di Europa 7.

33.1. L'amministrazione - secondo l'appellante - non potrebbe invocare la clausola contenuta nell'art. 1 co. 2 della concessione secondo la quale "l'adeguamento degli impianti alle prescrizioni del piano d'assegnazione dovrà avvenire, secondo il programma stabilito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d'intesa con il Ministero delle comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti dalla data di comunicazione del presente provvedimento. Il suddetto termine potrà essere prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal Ministero delle comunicazioni, d'intesa con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni".

33.2. Il termine di 24 mesi per l'adeguamento degli impianti alle prescrizioni del Piano d'assegnazione (previsto nel cit. co.2) costituisce - secondo l'appellante - un termine posto nell'interesse del concessionario e non dell'Amministrazione, con la conseguenza che la disposizione andrebbe letta nel senso che "l'adeguamento degli impianti alle prescrizioni del piano d'assegnazione, da parte del concessionario, deve avvenire...". L'ulteriore proroga del termine per dodici mesi sarebbe poi condizionata alla sola positiva valutazione del ricorrere d'impedimenti oggettivi, valutazione da svolgersi da parte del "Ministero delle comunicazioni, d'intesa con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni".

33.3. In ogni caso il diritto sarebbe sorto entro 24 mesi e, quindi, a partire dal 28 luglio 2001, oppure dal 22 settembre 2001 o a tutto concedere dal 28 ottobre 2001 (a seconda che si voglia fissare, quale dies a quo la data del rilascio, quella di registrazione, quella di materiale consegna del titolo).

33.4. La proroga ulteriore di dodici mesi (eventuale e collegata ad impedimenti del concessionario) non è mai stata chiesta, né tantomeno concessa.

33.5. In ogni caso, anche a voler considerare ulteriori 12 mesi, al più tardi il 28 ottobre 2002 sarebbe decorso anche questo ultimo termine.

33.6. L'appello quantifica poi i danni sia in termini di danno emergente che di lucro cessante.

33.7. Il danno emergente viene quantificato in 100.000.000,00 di euro, il lucro cessante viene chiesto in via equitativa sulla base di una perizia di Unipol.

33.8. Naturalmente, rileva l'appellante, i dati peritali vanno utilizzati in modo diverso a seconda che il Consiglio di Stato ritenga di condannare le amministrazioni all'adempimento (ossia all'assegnazione di una rete o, comunque, di frequenze, per diffondere sull'80 per cento del territorio nazionale ed in tutti i capoluoghi di provincia), fermo restando il risarcimento dei danni subiti e subendi fino all'effettivo adempimento ovvero ritenga di poter condannare le Amministrazioni al solo risarcimento per equivalente.

33.9. Nel primo caso (condanna all'adempimento) il risarcimento dovuto ad Europa 7, nell'atto di appello, è calcolato per gli anni nei quali la società ricorrente non ha potuto operare e si basa sugli utili attesi per gli anni 2000, 2001, 2002, 2003, 2004 pari ad euro 882.600.000,00.

33.10. Nel secondo caso il risarcimento non potrebbe che avere ad oggetto l'intera azienda, ritenuta di valore medio (sulla base di veri criteri: fatturato; EBITDA; EBIT; utile netto) superiore ai 3 miliardi di euro richiesti con il ricorso.

33.11. In via gradata Europa 7 rileva che, anche qualificando la posizione giuridica quale interesse legittimo pretensivo, comunque le domande risarcitorie, per reintegrazione specifica e/o per equivalente, non avrebbero potuto essere respinte sulla mera constatazione della natura della situazione giuridica soggettiva dopo la sentenza Cass. n. 500/99 e la l. n. 205/2000.

33.12. Il privato chiedeva in via giudiziaria il bene della vita negatogli ed il giudice amministrativo avrebbe dovuto esaminare sia la domanda di reintegrazione in forma specifica sia i danni da risarcimento per equivalente relativi alla tardiva assegnazione della rete.

33.13. Ma, anche aderendo all'indirizzo giurisprudenziale più restrittivo in materia di condanna al risarcimento in forma specifica, che non ammette un ordine all'amministrazione d'adottare il provvedimento che avrebbe dovuto emettere, l'appellante ritiene che il giudice avrebbe dovuto esaminare la domanda di condanna all'assegnazione di canali comunque idonei a farle raggiungere la copertura di almeno l'80% del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia, come domanda di una "prestazione" analoga ma non identica a quella negata dalla p.a.

33.14. Conclusivamente, mai i giudici avrebbero potuto omettere di pronunciarsi quantomeno sulla domanda di risarcimento per equivalente.

33.15. Avendo accolto il ricorso per silenzio-rifiuto il Tar avrebbe dovuto qualificare in termini di difetto di diligenza e di buona fede il comportamento tenuto dalla p.a., nella gestione dei rapporti con Europa 7, al fine di farne discendere la responsabilità della p.a. per violazione d'interesse legittimo pretensivo.

34. Ciò premesso, a partire dal punto 6 dell'atto d'appello (pag. 20 del ricorso) Europa 7 affronta gli argomenti difensivi proposti dalle Amministrazioni resistenti.

34.1. In particolare l'argomento relativo al d.l. n. 5 del 2001 conv. in l. n. 66/2001 (di seguito legge n. 66/2001) relativo alle trasmissioni digitali via etere terrestre.

34.2. Secondo le Amministrazioni tale disciplina, successivamente intervenuta, avrebbe inciso sulla possibilità di dare adempimento alla concessione, poiché tale normativa avrebbe consentito la prosecuzione dell'attività trasmissiva delle c.d. "reti eccedenti" sulle frequenze analogiche, e, conseguentemente, avrebbe impedito l'assegnazione di frequenze ad Europa 7.

34.3. Senonché - a giudizio dell'appellante - le Amministrazioni resistenti non possono invocare per la prima volta in sede giudiziaria la cit. l. n. 66/2001 né il successivo d.l. 24 dicembre 2003 n. 352 conv. in l. 24 febbraio 2004 n. 43 (c.d. "decreto salva reti"), né l'ancor più recente l. 3 maggio 2004 n. 112 (c.d. "Legge Gasparri").

34.4. Si cita il paragrafo 5 del considerato in diritto della sentenza della Corte Cost. n. 466 del 2002 per dedurne che l'assetto delle trasmissioni televisive, in ambito nazionale, su frequenze terrestri, in tecnica analogica, non sarebbe stato toccato dalla citata l. n. 66/2001.

34.5. Quest'ultima legge, infatti, secondo il giudice delle leggi, "contiene disposizioni riguardanti la televisione privata in ambito locale (art. 1 comma 1); la radiodiffusione sonora in tecnica digitale ed anche analogica (artt. 1, commi 2, 2 bis, 2 ter, e 2 quater); la riduzione d'inquinamenti da emissioni di radiodiffusione sonora e televisiva (art. 2 comma 1); le antenne per la telefonia mobile (art. 2, comma 1-bis); la sperimentazione e le agevolazioni per l'avvio dei mercati di programmi televisivi digitali su frequenze terrestri (art. 2 bis, commi 1 e 2); l'indicazione dell'anno 2006 entro il quale "le trasmissioni televisive di programmi e dei servizi multimediali su frequenze e terrestri devono essere irradiati esclusivamente in tecnica digitale (art. 2 bis comma 5); e altri punti d'interesse scientifico e di propulsione di nuove tecnologie.

34.6. In sostanza la l. n. 66/2001, per la Consulta, non "tocca" le trasmissioni televisive nazionali, via etere terrestre in tecnica analogica: cioè quelle per il cui esercizio è stata rilasciata concessione ad Europa 7.

34.7. Ad opinare diversamente dalla Consulta, secondo l'appellante, si evidenzierebbe l'incostituzionalità degli artt. 1 e 2 bis della l. n. 66/2001:

a) perché il citato art. 1 impedirebbe alle Amministrazioni competenti - in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 Cost. - d'esercitare le funzioni di governo tecnico dell'etere loro affidate là dove esso consentisse alle reti televisive (anche ove non abbiano ottenuto la concessione) di proseguire nell'esercizio delle loro trasmissioni sino all'attuazione del nuovo piano digitale;

b) perché i citati artt. 1 e 2 bis - in contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 97, 136 e 137 Cost. - perpetuerebbero, sino al 2007, uno stato di fatto già accertato come incostituzionale, senza prevedere alcuna efficace misura a tutela del pluralismo informativo oltre che della libertà d'iniziativa economica delle altre emittenti;

c) perché gli stessi artt. 1 e 2 bis consentirebbero, in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 Cost. di discriminare un operatore televisivo in possesso di concessione (Europa7) rispetto ad altri operatori (persino quelli privi di concessione), compromettendo il pluralismo informativo e le regole della concorrenza, ledendo il principio d'affidamento dei destinatari delle concessioni rilasciate nel luglio del 1999, nonché incidendo sull'attività amministrativa di rilascio ed adempimento delle concessioni.

34.8. Quanto si afferma relativamente alla l. n. 66 del 2001 (irrilevanza ed, in subordine, illegittimità costituzionale della normativa) viene ripetuto dall'appellante rispetto al d.l. c.d. "salva reti" ed alla Legge Gasparri, nei cui confronti si pongono anche problemi di illegittimità comunitaria.

35. Quanto al decreto legge n. 352/2003 che, all'art. 1 co. 3 ha esplicitamente e deliberatamente prorogato il termine per la cessazione delle trasmissioni (via etere terrestre) delle reti eccedenti, fissato dalla Corte Costituzionale al 31 dicembre 2003 e ritenuto dalla stessa un termine finale assolutamente certo definitivo e non eludibile (Corte Cost. n. 466 del 2002), per di più prorogandolo fino alla data di adozione di provvedimenti dell'AGCOM relativi:

1) all'esame della "complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri" allo scopo d'accertare contestualmente, anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato:

a) la quota di popolazione coperta dalle nuove reti digitali terrestri che non deve comunque essere inferiore al 50 per cento;

b) la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili;

c) l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi da reti analogiche;

2) all'invio di una relazione al Governo ed alle competenti Commissioni Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica nella quale dà conto dell'accertamento effettuato;

3) all'eventuale adozione, nel caso in cui non si siano verificate le condizioni predette, di provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi delle posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo (provvedimenti di cui all'art. 2 co. 7 della l. n. 249/1997).

35.1. La giustificazione della violazione del giudicato costituzionale di cui alla sentenza Corte Cost. n. 466/2002 è agganciabile all'inciso del paragrafo 11 della citata sentenza n. 466 secondo il quale "E'appena il caso di precisare che la presente decisione, concernente le trasmissioni radio-televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili".

35.2. I punti qualificanti della decisione della Corte Costituzionale secondo l'appellante sono:

1) l'intollerabilità della protrazione del regime transitorio analogico oltre il 31 dicembre 2003, termine ricavato dalla valutazione di congruità tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo da AGCOM con la delibera n. 346 del 2001, con riferimento alle operazioni di trasferimento delle reti analogiche eccedenti, tanto in chiaro che in forma codificata;

2) la necessità della conseguente cessazione di tale regime e della possibilità per le c.d. emittenti eccedenti (non titolari di concessione) di proseguire nelle trasmissioni, entro il 31 dicembre 2003 con modalità che avrebbero dovuto essere determinate nello stesso termine;

3) la salvezza di un diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili; su tali premesse, fissate dal giudicato costituzionale, gli effetti che il decreto d'urgenza avrebbe potuto produrre - secondo l'appellante - avrebbero dovuto essere almeno due:

a) che alla data del 31 dicembre 2003 venissero "liberate" le frequenze analogiche terrestri illegittimamente occupate dalle reti eccedenti Retequattro e Prima TV;

b) che le relative frequenze in analogico terrestre, una volta tornate nella disponibilità del Ministero delle Comunicazioni, venissero riassegnate, con procedura obiettiva, trasparente, proporzionale e non discriminatoria (come previsto dalle direttive CE) ai titolari di concessione del tutto privi di radio frequenze.

35.3. Solo con queste premesse il passaggio graduale al digitale terrestre ancorché in simulcast (e cioè mediante l'utilizzo, da parte delle emittenti di frequenze anche con tecnica analogica) non avrebbe dato luogo a rilievi con quanto sottolineato da Corte Cost. n. 466/2002.

35.4. Ma il c.d. "salva reti" (d.l. n. 352/2003 conv. in l. n. 43/2004) non ha posto fine al regime "transitorio" analogico e non ha sostituito quel regime con un nuovo assetto comportante l'aumento delle frequenze disponibili.

35.5. Il c.d. "salva reti" (e - secondo la tesi dell'appellante - anche la legge Gasparri) ha piuttosto sovrapposto due regimi transitori: quello analogico (già in atto da tempo, dalla legge c.d. Maccanico, e che, secondo la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 466/2002 avrebbe dovuto cessare entro il 31 dicembre 2002) ed il regime di transizione al digitale terrestre (c.d. switch-over).

35.6. La Commissione Europea ha sottolineato che, mentre lo switch-off delle trasmissioni analogiche (con conseguente definitivo passaggio di tutte le trasmissioni in tecnica esclusivamente digitale) consentirebbe di liberare diverse centinaia di MHZ sulla banda di frequenze VHF e UHF, MHZ che potrebbero essere riallocati per vari usi, al contrario, la transizione al digitale (switch-over) può effettivamente aggravare la scarsità delle frequenze disponibili dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo (simulcast) (COM/2003) 541 del 17 settembre 2003 sulla transizione dalla trasmissione radiotelevisiva analogica a quella digitale (dalla switch-over digitale allo switch-off analogico).

35.7. In sostanza il c.d. "salva reti" si è limitato a chiedere ad AGCOM di accertare l'avvio della c.d. fase di switch-over al digitale terrestre ed ha prorogato - ancor prima dell'accertamento - il vecchio regime transitorio analogico ritenuto incostituzionale da Corte Cost. n. 466/2002.

35.8. Inoltre il contenuto degli accertamenti imposti dal d.l. "salva reti" ad AGCOM non può incidere, secondo gli appellanti, sull'inidoneità della proroga a soddisfare le condizioni poste dalla Consulta.

35.9. In sostanza si richiede ad AGCOM d'accertare se almeno il 50% della popolazione italiana possa ricevere programmi trasmessi con la nuova tecnica digitale, ove si doti di appositi ricevitori digitali (c.d. decoders).

35.10. L'AGCOM deve accertare l'avvenuto avvio della transizione al digitale terrestre, atteso che lo switch-off delle trasmissioni analogiche potrebbe aversi solo se tutta la popolazione italiana fossa effettivamente dotata di ricevitori digitali (Comm. Europea (2003) 541, par. 1.1).

35.10. L'AGCOM ha concluso la sua indagine indicando in 200.000 famiglie le unità dotate di decoders ed evidenziando che l'avvio promettente della televisione digitale terrestre necessita ancora azioni positive per tramutarsi in un "reale cambiamento del grado di concorrenzialità del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento del pluralismo culturale, politico ed informativo".

35.11. In un provvedimento di repressione di alcune pubblicità ingannevoli della televisione digitale terrestre l'AGCOM ha ribadito che il servizio televisivo ad oggi offerto in tecnica digitale terrestre è da considerarsi meramente "sperimentale" sia quanto a copertura territoriale, sia quanto a servizi interattivi offerti (Provv. AGCOM 13678 del 14/10/2004).

35.12. Il d.l. salva reti quindi avrebbe violato il giudicato costituzionale e gli artt. 3, 21, 41 Cost. sui quali la Corte ha fondato la sent. n. 466/2002; esso - secondo l'appellante - contrasta anche con il diritto comunitario, al pari della legge c.d. Gasparri, di cui pure si predica l'illegittimità costituzionale.

36. La legge Gasparri (l. n. 112/2004) introduce un sistema basato sui seguenti punti:

a) una generalizzata autorizzazione ex lege (il c.d. "generale assentimento") di cui all'art. 23 co. 1 e 5 l. n. 112/2004 che consente a tutte le emittenti, anche quelle che non hanno ottenuto la concessione nel 1999 (come le "reti eccedenti") di proseguire nelle trasmissioni;

b) la possibilità, per i gruppi televisivi che trasmettano programmi digitali terrestri con copertura pari al 50% della popolazione, di godere di un privilegiato metodo di calcolo del superamento del limite percentuale antitrust al possesso di reti e programmi nazionali, fissato per tutti al 20%.

Tale limite percentuale viene, infatti, applicato non con riferimento alle sole reti analogiche (oppure ai soli programmi digitali) come prevedeva la legge c.d. Maccanico, bensì prendendo a base un insieme "promiscuo", composto tanto dalle reti operanti in tecnica analogica, quanto dei programmi irradiati in tecnica digitale, alla sola condizione che risultino realizzate le condizioni di cui al d.l. "salva reti" (v. art. 25 co. 8 cit. legge, ove si sottolinea che i programmi possono "indifferentemente" essere trasmessi in entrambe le tecniche);

c) l'abrogazione dei precedenti limiti antitrust fissati dalla legge Maccanico.

36.1. In sostanza, secondo la ricorrente, la proroga del precedente regime transitorio sarebbe abilmente "mascherata" ma non per questo meno contraria ai principi costituzionali.

36.2. Il meccanismo della Legge Gasparri si basa su una duplice fictio iuris, in forza della quale vengono illegittimamente equiparate:

a) reti analogiche effettivamente nazionali (come RA1 e Canale 5) e reti analogiche pseudo-nazionali (come ad es. Rete Capri e Rete A);

b) reti analogiche che irradiano programmi fruibili dall'intera popolazione nazionale e programmi irradiati da reti digitali fruibili, come si è detto, al massimo dal 50% della popolazione nazionale.

36.3. L'equiparazione fra reti analogiche effettivamente nazionali e reti analogiche pseudo-nazionali viene sospettata d'illegittimità costituzionale per violazione dei principi già affermati da Corte Cost. n. 420/1994, in relazione agli artt. 41 Cost. (concorrenza) e 21 Cost. (pluralismo), in quanto l'allargamento ed "annacquamento" della base su cui calcolare il limite percentuale antitrust del 20%, derivante dall'equiparazione di emittenti nazionali (RAI 1 o Canale 5 con copertura vicina al 100%) ad emittenti pseudo-nazionali (Rete A e Rete Capri con copertura pari al 50% della popolazione) finisce per avvantaggiare i "duopolisti" (RAI e MEDIASET) presenti nel sistema italiano, a dispetto della necessità di garantire un'identitità sostanziale di copertura quale presupposto per l'individuazione di un'emittente nazionale (par. 11 del considerato in diritto).

36.4. Si rileva che la legge Mammì (l. n. 223/90 art. 3 co. 11) richiedeva che, per aversi un'emittente nazionale si dovesse raggiungere il 60 % della copertura del territorio nazionale, mentre la legge Maccanico (l.n. 249/1997 che, sul punto, deve attuazione alla sentenza n. 420/1994 della Corte Cost. prima citata) richiedeva l'80% del territorio e tutti i capoluoghi di provincia.

36.5. Si denuncia, quindi, che, con l'art. 25 co. 8 e con l'art. 2 co. 1, lett. i) ed l) si ritorna alla passata situazione ritenuta costituzionalmente illegittima.

36.6. Riguardo all'equiparazione fra programmi trasmessi con reti analogiche e programmi digitali si evidenzia che la copertura del 50% della popolazione è del tutto teorica, visto che soltanto 200.000 famiglie sarebbero dotate del decoder (AGCOM Relazione citata al punto 35.10). E, pertanto, si assume la violazione dei parametri costituzionali su cui agli artt. 3 (ragionevolezza) 21 (pluralismo) e 41 (concorrenza).

37. Quanto poi alle deduzioni specifiche che riguardano la normativa comunitaria si assume che "il generale assentimento" (introdotto con i commi 1 e 5 dell'art. 23 della legge Gasparri), anche in combinato disposto con i commi 8 e 11 dell'art. 25 della stessa legge (ma le deduzioni vengono estese al salva reti), sia contrario alla normativa comunitaria ed all'art. 117 co. 1 Cost.

37.1. A questo riguardo si segnala che il contrasto del ddl AC n. 2175 B (poi divenuto l'attuale l. n. 112/2004) era stato evidenziato anche dalla AGCOM in data 8/1/2004.

37.2. Si chiede quindi la disapplicazione, per contrasto con la normativa comunitaria, della legge Gasparri, ciò in via principale, nella parte in cui prevede una procedura per l'assegnazione delle frequenze non rispondente ai criteri delle direttive intervenute in materia.

In subordine, si chiede la rimessione alla Corte Cost. per violazione dell'art. 117 co. 1 Cost.

37.3. Quanto al diritto comunitario la società appellante richiama le quattro direttive adottate dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione Europea in data 7 marzo 2002.

37.4. Si tratta della direttiva che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/21/CE c.d. direttiva quadro); della direttiva autorizzazioni 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti ed i servizi di comunicazioni elettronica (c.d. direttive autorizzazioni); della direttiva 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di interconnessione alle reti di comunicazione elettronica ed alle risorse correlate, nonché all'interconnessione delle medesime (c.d. direttiva accesso); ed, in ultimo, della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e di comunicazione elettronica (c.d. direttiva servizio universale).

37.5. Queste quattro direttive costituiscono - come è noto - il c.d. nuovo quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche ed hanno come tratto caratteristico l'aver assoggettato ad una disciplina tendenzialmente unitaria tutte le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, ivi compresi, per quanto qui interessa, le reti ed i servizi utilizzati per la diffusione vincolare dei programmi sonori e televisivi.

37.6. In particolare la direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) impone agli Stati membri di adottare regimi abilitativi diversi a seconda che si tratti di consentire l'installazione della rete o la fornitura di servizi o, invece, di assegnare a singoli operatori l'uso di determinate frequenze. Mentre la fornitura di una rete e/o di un servizio tecnico radiotelevisivo deve essere assoggettata ad un regime di semplice autorizzazione generale (art. 3 co. 2 direttiva) l'uso delle frequenze, invece, può essere oggetto di provvedimenti individuali.

37.7. La disciplina del sistema radiotelevisivo italiano si appalesa contraria al diritto comunitario non soltanto perché non distingue fra fornitura delle reti ed assegnazione delle frequenze, ma soprattutto perché non assicura che le frequenze siano assegnate secondo i criteri comunitari generalmente applicabili alle concessioni, ispirati a garantire la c.d. "concorrenza per il mercato" (per concedere le frequenze occorre adottare procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie e l'assegnazione deve avvenire in base a criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati; artt. 5 co. 2 e 7 direttiva, nonché art. 9 direttiva quadro).

37.8. La disciplina contenuta nella legge Gasparri procrastina una situazione di fatto non rispettosa dei criteri europei, ben oltre il termine indicato dalle direttive per l'obbligatoria attuazione della disciplina comunitaria anche riguardo alle concessioni preesistenti cioè oltre il 25 luglio 2003 (art. 17, co. 1 direttiva 2002/20 CE).

37.9. E' bensì vero che la stessa disciplina comunitaria ammette deroghe ma solo quando ciò sia necessario a tutela del pluralismo informativo (o della diversità culturale o linguistica).

37.10. La possibilità di derogare alla disciplina comunitaria non sarebbe, tuttavia, invocabile nella specie perché - come sottolineato dal Presidente dell'AGCOM nella citata audizione dell'8 gennaio 2004 - la situazione attualmente vigente in Italia è gravemente lesiva del pluralismo, il che era già stato sanzionato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.

37.11. Per di più l'appellante Europa 7 sostiene di avere uno specifico titolo per dolersi dell'illegittimità comunitaria della disciplina, poiché mediante la proroga introdotta con la normativa interna si continua a vanificare il diritto di Europa 7 che, pur avendo ottenuto la concessione, non può operare perché, a seguire le Amministrazioni appellate, le frequenze oggetto della concessione rilasciata sono ancora occupate da operatori privi di concessione (come quelli che eserciscono le c.d. "reti eccedenti").

37.12. La violazione dei principi affermati in sede comunitaria impedisce che si dia un esito non discriminatorio ad una procedura concorsuale legittimamente svoltasi.

38. L'aspetto d'illegittimità comunitaria ora denunciato, ha, secondo l'appellante, anche rilevanza costituzionale, non soltanto ai sensi dell'art. 117 co. 1 Cost. ma anche per contrasto con gli artt. 3, 24, co. 2, 41 co. 1 e 2, 97 Cost..

38.1. Anche questi profili d'illegittimità sarebbero stati correttamente colti - nel corso di un'audizione parlamentare - dall'AGCOM, là dove ha osservato come la preclusione dell'ingresso nel mercato televisivo a soggetti che - come Europa 7 - "nonostante la titolarità di concessioni non hanno potuto avviare l'effettivo esercizio della radiodiffusione... costituisce anche una grave ferita all'effettività ed alla pienezza del nostro sistema di tutela giurisdizionale dei diritti (cfr. audizione AGCOM citata).

38.2. Anche in precedenza (il 19 dicembre 2002) l'AGCOM aveva posto in evidenza, in una segnalazione al Parlamento, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 287/1990, che la proroga del regime transitorio e l'autorizzazione alle reti eccedenti a proseguire ulteriormente nella attività, finisce con l'andare a scapito di quei soggetti che, pur in possesso del titolo concessorio, all'esito di una procedura selettiva concorsuale, non sono stati tuttavia posti in grado d'esercitare l'attività economica, non essendo stati immessi nell'uso delle frequenze. Il perpetuarsi di tale situazione rischia di compromettere la certezza del sistema delle regole, che governa i meccanismi d selezione competitiva e che guida le corrette dinamiche di mercato, cristallizzando la struttura duopolistica venutasi a creare in questi anni (segnalazione AGCOM, AS 247, Boll. AGCM n. 49/2002).

38.3. In sostanza le richiamate disposizioni di legge violano gli artt. 41 e 97 Cost. nella parte in cui non consentono ad Europa 7 di ottenere il bene della vita che lo Stato aveva posto in gara, ricorrendo ad un sistema di evidenza pubblica, che, in un ottica comunitaria, surroga le tradizionali dinamiche concorrenziali, sostituendo alla competizione nel mercato la competizione per il mercato (proprio grazie al meccanismo della gara pubblica).

38.4. Le rilevanti disposizioni della legge Gasparri hanno, invece, ad alterare sia il buon andamento del procedimento per il rilascio delle concessioni, sia la relativa fase attuativa, ledendo altresì l'affidamento legittimamente riposto da Europa 7 nella doverosa, piena attuazione dell'esito, ad essa favorevole, di una procedura concorsuale legittimamente svoltasi (artt. 3, 41 e 97 Cost.).

38.5. Inoltre la pendenza di questo (e degli altri giudizi instaurati da Europa 7 a seguito della procedura concorsuale) rende evidente l'incidenza che tali disposizioni esercitano sul diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale dei propri diritti (art. 24 Cost.), essendo di tutta evidenza - e ben noto alla giurisprudenza amministrativa - che costituisce eccesso di potere (nella specie "legislativo") qualsiasi intervento esterno di un pubblico potere che condizioni l'esito di un giudizio in corso.

39. Si conclude per la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni in forma specifica e per equivalente o solo per equivalente, previa, se necessario disapplicare dei d.l. "salva reti" e della legge Gasparri, ovvero rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.

40. Con successiva memoria sono state ulteriormente specificate le censure d'illegittimità comunitaria e costituzionale (memoria illustrativa del 7 aprile 2005).

41. Si sono costituite le Amministrazioni resistenti, controdeducendo su tutti i motivi e chiedendo il rigetto del ricorso.

DIRITTO

1. La controversia deve essere rimessa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee competente, ai sensi dell'art. 234 del Trattato, a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione del Trattato, e sulla validità ed interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità.

2. L'evoluzione del sistema radiotelevisivo nel diritto italiano.

2.1. Giova premettere alcuni cenni sull'evoluzione del sistema radiotelevisivo italiano.

2.2. Fin dal 1923 i servizi di radiodiffusione o, come si diceva allora, di radiodiffusioni circolari erano riservati allo Stato (R.D. 27 febbraio 1936 n. 645).

2.3. Dal 1924 entra in scena, come concessionaria del servizio pubblico di radiodiffusione l'URI, Unione Radiofonica Italiana, e, dal 1927 l'EIAR, Ente Italiano per le audizioni radiofoniche.

Nel 1954, con lo sviluppo della televisione, nasce la RAI, Radio Televisione Italiana (d.p.r. 26 gennaio 1952 n. 180), concessionaria in esclusiva del servizio.

2.4. Il monopolio statale vive indisturbato fino a quando, per la prima volta al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni viene chiesto da una piccola società l'assenso per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione privato, da realizzarsi in alcune regioni.

2.5. Il Ministero risponde difendendo il monopolio statale, facendo presente di aver concesso alla RAI l'esclusiva, e, in sostanza, concludendo nel senso di non poter prendere in esame altre concessioni.

2.6. Venne adito il Consiglio di Stato che, allora, giudicava in unico grado.

2.7. Con ordinanza del 15 luglio 1959 n. 504 il Consiglio di Stato rimette gli atti alla Corte Costituzionale (denunciando in particolare il sospetto d'incostituzionalità degli artt. 1 e 163 del r.d. n. 645 del 1936) al fine di stabilire se il monopolio della RAI fosse compatibile con l'art. 21 della Cost. italiana che tutela la libertà di manifestazione del pensiero.

2.8. La prima sentenza della Corte Costituzionale in materia di monopolio statale fu nel senso del riconoscimento della legittimità del monopolio statale, facendo riferimento all'art. 43 Cost. (che abilita lo Stato a riservarsi alcune attività di "preminente interesse generale") (così Corte Cost. n. 59/1960).

2.9. La concessione in esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che può svolgerlo in condizioni di "imparzialità, completezza e continuità su tutto il territorio nazionale", condizioni di obiettività ritenute più favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati, è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2) con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi per le trasmissioni TV che renderebbero l'esercizio di tale attività "privilegio di pochi".

2.10. La sentenza in dottrina venne valutata positivamente da chi rilevò che la libertà di manifestazione del pensiero è qualcosa di diverso dall'uso dei mezzi che non siano nella disponibilità giuridica di chi voglia esercitare tale libertà.

2.11. In senso critico si rilevò che la Corte aveva, in sostanza, eluso il quesito, chiedendosi se il monopolio fosse legittimo ai sensi dell'art. 43 Cost. non aveva affrontato il problema del suo contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero, risolventesi in libertà dell'uso dei mezzi attraverso i quali il pensiero può essere diffuso.

2.12. Il problema del monopolio statale in materia radiotelevisiva si ripropose negli anni settanta, quando, con l'arrivo delle nuove tecnologie, l'estensione dei ripetitori e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente ad occuparsi della materia, emettendo le sentenze del 9 e 10 luglio 1974 n. 225 e n. 226.

2.13. Con la prima pronuncia la Corte Costituzionale italiana ebbe a dichiarare l'incostituzionalità della riserva statale relativamente alla ripetizione in Italia di programmi radiotelevisivi irradiati da emittenti estere.

2.14. Con la seconda pronuncia (Corte Cost. n. 226/74) proclamò l'incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, introducendo la possibilità di aprire a privati in questo settore, ma, per le trasmissioni in ambito nazionale, continuando a mantenere la riserva in favore dello Stato.

2.15. Nell'ambito nazionale tornava il riferimento alla "limitatezza" dei canali disponibili, nonché la tesi secondo cui l'attività di radiodiffusione circolare integra quella situazione di monopolio od oligopolio che, ai sensi dell'art. 43 Cost., giustifica la riserva allo Stato dell'attività medesima.

2.16. Tuttavia, con la decisione n. 225/74, la Corte apre ai ripetitori di programmi irradiati da emittenti estere perché non operano su bande di frequenza assegnate all'Italia e per evitare forme di "anarchia nazionale" delle fonti d'informazione; mentre, con la sent. n. 226/74 la Corte detta i "comandamenti" ai quali il legislatore ordinario deve ispirarsi legiferando in materia di radiotelevisioni.

2.17. La Corte osserva che va garantita l'indipendenza del gestore del servizio pubblico dall'esecutivo; la "parlamentarizzazione" dei poteri d'indirizzo e controllo sulla società concessionaria, l'obbligo istituzionale d'obiettività gravante sui giornalisti del servizio pubblico; l'obbligo istituzionale di garantire il pluralismo informativo e culturale; la limitazione delle entrate pubblicitarie della RAI; la previsione di un sistema "d'accesso" alla radiotelevisione pubblica in favore di gruppi politici, religiosi, culturali e comunque socialmente rilevanti; il riconoscimento del diritto di rettifica.

2.18. A seguito di tale pronuncia viene approvata la legge 14 aprile 1975 n. 103 contente "nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva" che "parlamentarizza" il servizio TV e sottrae la RAI all'influenza del governo, aprendola a quel pluralismo interno, che, nelle sue degenerazioni spartitorie, ha dato luogo al fenomeno della "lottizzazione" delle cariche dell'azienda di Stato.

2.19. Con una successiva sentenza, la sent. n. 202 del 1976 la Corte Cost. ebbe poi a dichiarare l'incostituzionalità del monopolio statale anche per le trasmissioni radiotelevisive locali via etere, ciò sul presupposto "tecnico" della esistenza, in ambito locale, di una disponibilità "sufficiente" di frequenze tale da consentire la libera iniziativa privata, senza pericoli di monopoli e oligopoli.

2.20. Anche con la sentenza n. 2002 del 1976 viene confermata la legittimità del monopolio statale sulle trasmissioni via etere in ambito nazionale, sul presupposto della "limitatezza" dei canali disponibili, dei rischi di "monopolio" od "oligopolio", della qualificazione dell'attività come servizio pubblico. Viene dichiarata l'incostituzionalità delle sanzioni penali previste per l'esercizio della televisione in ambito locale senza concessione.

2.21. Tale liberalizzazione, nell'assenza di una disciplina legislativa sull'assegnazione delle frequenze e nell'errata convinzione del diritto di tutti a trasmettere liberamente via etere, creava una situazione definita "far west" dell'etere dalla dottrina; una situazione, in sostanza nella quale era difficile definire quale fosse l'ambito locale delle trasmissioni consentite e si ponevano in atto, mediante le tecniche della c.d. "interconnessione funzionale", (consistente nella contemporanea messa in onda di cassette preregistrate), vere e proprie trasmissioni ultralocali, "mettendo in collegamento o in rete" più operatori locali.

2.22. Prima della legge 6 agosto 1990 n. 223 la c.d. Legge Mammì che ha ridisegnato il sistema radiotelevisivo pubblico e privato in Italia operavano, secondo fonti RAI, 4000 emittenti radiofoniche private, 515 emittenti TV private indipendenti, 182 emittenti TV private consorziate in circuiti, 12 networks televisivi nazionali, tra reti RAI e quattro estere.

2.23. Sono gli anni del "caos dell'etere". Un tentativo d'interconnessione "strutturale", con ponti radio, conduce la Corte Cost., con la sent. n. 148/1981 a ribadire la legittimità del monopolio statale in ambito nazionale, sempre per il timore dei rischi di concentrazione.

2.24. La Corte tuttavia sollecita il legislatore ad emanare una disciplina antitrust.

2.25. Nell'ottobre del 1984 i i Pretori di alcune città (Torino, Roma, Pescara) dispongono il sequestro penale di alcuni impianti che operavano in interconnessione funzionale assumendo la violazione della riserva statale.

Le emittenti interessate decidono il black out totale delle trasmissioni. Il legislatore interviene con il d.l. 20 ottobre 1984 n. 694 poi conv. in l. 4 febbraio 1985 n. 10, che riconosce l'esistenza di un sistema televisivo "misto", prevedendo un piano d'assegnazione delle frequenze e consentendo, nelle more dell'approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo, di proseguire l'esercizio in abito nazionale alle emittenti che lo avevano iniziato in via di fatto, ritenendo l'attività liberalizzata.

2.26. La situazione determinata dalla l. n. 10 del 1985 andrà avanti fino al 1990. In tale situazione "transitoria" la Corte Costituzionale, investita nuovamente del problema, salva, stante il carattere provvisorio della disciplina, la l. n. 10/1985 da nuovi sospetti d'incostituzionalità, dettando, tuttavia, un "decalogo" per il pluralismo futuro (Corte Cost. n. 826/1988).

2.27. La Corte, in tale importante sentenza, sostanzialmente torna sulla necessità di una legge antitrust, già evocate nella sentenza n. 148/1981, notando tuttavia che "l'evoluzione della situazione di fatto ha dimostrato ampiamente che il rischio d'oligopolio paventato dalla Corte si è trasformato in realtà", e che la futura legge "non potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad impedire la formazione di posizioni dominanti lesive del pluralismo (art. 21 Cost.)".

2.28. La Corte, assolvendo la legge n. 10/1985 per la sua provvisorietà nota: "se l'approvazione della nuova legge dovesse tardare oltre ogni ragionevole limite temporale, la disciplina impugnata... non potrebbe più considerarsi provvisoria ed assumerebbe carattere definitivo: sicché questa Corte, nuovamente investita della questione, non potrebbe non effettuare una diversa valutazione con le relative conseguenze". Di qui l'intervento del legislatore.

2.29. Il sistema "misto" radiotelevisivo si realizza in Italia, con la l. n. 223 del 1990 (legge Mammì). Si tratta di una normativa che si innesta tuttavia, su una situazione di fatto preesistente connotata dalla presenza di oligopoli privati e della concessoria pubblica della radiotelevisione.

2.30. La legge Mammì istituisce il Garante per la radiodiffusione e l'editoria, che assume, nell'ambito del sistema radiotelevisivo, una posizione centrale. La legge inoltre stabilisce alcuni limiti antitrust prevedendo un divieto di essere titolari di più di tre reti TV su scala nazionale (art. 15).

2.31. Nel 1994, innanzi al Tar del Lazio, viene sollevata la questione di costituzionalità relativa all'art. 15 della legge n. 223/1990, che la Corte Cost. decide con sent. n. 420/1994 dichiarando l'incostituzionalità della legge Mammì nella parte in cui consente ad un solo soggetto di possedere fino a tre reti televisive su un totale di dodici pianificate. La Corte tuttavia lascia in vita la disposizione transitoria del d.l. n. 323 del 1993 che consentiva alle emittenti fino ad allora operanti di continuare per un triennio e cioè fino all'agosto del 1996.

2.32. La Corte in definitiva, nel dichiarare l'incostituzionalità della normativa sul duopolio nota come l. Mammì non ha voluto determinare un "vuoto" normativo per consentire l'intervento "razionale" e "discrezionale" del legislatore. Spetterà quindi al legislatore emanare una nuova disciplina del settore "riducendo il limite numerico delle reti concedibili ad uno stesso soggetto ovvero ampliando, ove l'evoluzione tecnologica lo renda possibile, il numero delle reti complessivamente consentibili". Spetterà al legislatore, in sostanza, superare il duopolio RAI-FININVEST, affermatosi nel corso del tempo per effetto delle vicende fino ad ora ricordate.

2.33. Si arriva quindi alla legge n. 249 del 1997 (legge c.d Maccanico) che ha dettato la nuova disciplina del sistema radiotelevisivo, in ossequio alla citata sentenza della Corte Cost. n. 420/1994 prevedendo più ristretti limiti concentrativi rispetto a quelli previsti dall'art. 15 l. n. 223/1990.

2.34. La legge n. 249/1997 ha, infatti, vietato ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni che consentano di irradiare più del 20 per cento delle reti televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri sulla base del piano nazionale d'assegnazione delle frequenze (art. 2 comma 6). Relativamente alle reti televisive nazionali su frequenze terrestri che trasmettono in forma codificata, la legge ha previsto che un soggetto non possa ottenere più di una concessione televisiva (art. 3, comma 11).

2.35. La legge - e questo è punto decisivo - ha anche introdotto una disciplina transitoria delle reti televisive nazionali esistenti, eccedenti i predetti limiti concentrativi, stabilendo che dette reti potevano continuare a trasmettere in via transitoria, dopo il 30 aprile 1998, nel rispetto degli obblighi previsti per le emittenti concessionarie, a condizione che le trasmissioni fossero effettuate simultaneamente su satellite o cavo (art. 3 comma 6).

2.36. La legge ha poi affidato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (subentrata al vecchio Garante) la fissazione del termine entro il quale, in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi via cavo o via satellite le predette reti eccedenti avrebbero dovuto trasmettere programmi esclusivamente su satellite o cavo, abbandonando le frequenze terrestri (art. 3 co. 7).

2.37. I principali provvedimenti attuativi della l. n. 249/1997 sono il Piano nazionale delle frequenze approvato con delibera n. 68/98 dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il regolamento n. 78/98 della stessa Autorità relativo ai requisiti ed alle modalità per il rilascio delle concessioni televisive su frequenze terrestri in tecnica analogica.

2.38. La legge n. 249/97 prevedeva che il piano indicasse il numero massimo delle reti televisive nazionali assentibili, tutte di identica copertura, ciascuna rete dovendo coprire almeno l'80% del territorio italiano e tutti i capoluoghi di provincia.

2.39. Il Piano ha individuato 11 reti televisive a copertura nazionale da assegnare alle emittenti nazionali. Su tale numero era calcolato il 20 per cento - limite antitrust - pari a due reti. Delle 11 reti tre erano assegnate per legge al servizio pubblico radiotelevisivo ed otto reti private a copertura nazionale erano assentibili ad emittenti privati a mezzo di gara.

2.40. Il regolamento n. 78/98 ha stabilito le modalità di rilascio delle concessioni televisive private su frequenze terrestri in tecnica analogica.

2.41. Tale regolamento prevedeva, all'art. 9, che la fase di valutazione e comparazione delle domande di concessione fosse affidata ad un'apposita Commissione nominata dal Ministro delle comunicazioni sulla base di un elenco di esperti indicato dalla stessa Autorità. Le aree di valutazione delle domande di concessione erano:

a) qualità dei programmi;

b) piano d'impresa, investimenti, sviluppo della rete;

c) occupazione;

d) esperienze maturate nel settore radiotelevisivo ed in altri settori.

2.42. La predeterminazione dei punteggi minimi e massimi conseguibili nelle citate aree di valutazione, nonché l'individuazione degli elementi relativi a ciascun'area, veniva effettuata dal disciplinare di gara, previsto dall'art. 1, co. 6 lett. c) n. 6) della l. n. 249/1997 ed approvato dal Ministro delle comunicazioni con decreto 8/3/99 su proposta dell'Autorità.

2.43. Il disciplinare di gara prevedeva che le concessioni fossero rilasciate nel rispetto del numero di reti individuate dal Piano nazionale d'assegnazione delle frequenze e nel rispetto dei limiti anticoncentrativi stabiliti dalla ripetuta legge n. 249/97.

2.44. In data 28 luglio 1999, sulla base della graduatoria approvata dalla Commissione, furono rilasciate le seguenti concessioni nazionali: Canale 5, ITALIA 1, TELE+BIANCO, TMC, TMC2, EUROPA 7, ELEFANTE TELEMARKET.

2.45. Alle emittenti RETEQUATTRO e TELE+NERO la concessione non fu rilasciata perché eccedevano i limiti concentrativi. Peraltro esse hanno continuato ad esercire le reti terrestri in via transitoria, ciò autorizzando la legge.

2.46. In sostanza le emittenti non hanno maturato, non avendo ottenuto la concessione, il diritto d'installare ed esercire reti nazionali ma, ciononostante continuano a farlo, essendo state censite ai sensi dell'art. 32 della l. n. 223/1990.

2.47. Emittenti come Europa 7, invece, pur avendo ottenuto la concessione, non essendo nella condizione di esercire una rete all'atto di presentazione della domanda di connessione, ma essendo nuovi entranti, che non possiedono una rete d'impianti in esercizio, attendevano l'assegnazione delle frequenze.

2.48. La concessione rilasciata ad Europa 7 individua le caratteristiche tecniche di irradiazione ma non assegna frequenze.

2.49. I canali, secondo l'Autorità, sarebbero stati determinati successivamente, al momento dell'attuazione del piano delle frequenze (così memoria dell'Avvocatura pag. 9 e ss.). Il piano tuttavia, secondo le Amministrazioni resistenti, non si rivelava di facile attuazione per effetto di alcune controversie giudiziarie sui dinieghi di concessione (Rete Mia, Rete Capri, Rete A).

2.50. Su questo quadro si inserivano la legge n. 66 del 2001 e la legge n. 112 del 2004 quest'ultima adottata a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 466/2002, che fissava al 31/12/2003 il termine improrogabile per il trasferimento delle reti eccedenti dell'etere al cavo o al satellite.

2.51. Tale normativa, nota come Legge Gasparri, dal nome del Ministro proponente, ha finito con il prolungare ancora una volta, attraverso il meccanismo del generale assentimento (art. 23 co. 1 e co. 5 l. 112/2004), la possibilità per le emittenti esercenti reti "eccedenti" i limiti anticoncentrativi di non liberare le frequenze da riassegnare ai soggetti titolari di concessioni vinte a seguito di gara.

La normativa europea rilevante.

3. Va ora esaminata la normativa europea di settore.

In primo luogo va ricordato che il principio del pluralismo delle fonti d'informazione è il cardine della politica europea delle comunicazioni di massa e che si tratta di un principio non certo estraneo al diritto comunitario: infatti esso è contenuto nell'art. 10 della CEDU secondo cui "1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. 2. L'esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere subordinato a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l'integrità territoriale o l'ordine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario".

3.2. Tale articolo della CEDU fa parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, essendo richiamato dall'art. 6 comma 2 del Trattato sull'Unione Europea, che sancisce "l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri".

3.3. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto un'interpretazione dell'art. 10 CEDU tale da ricercare l'importanza della libertà di ognuno di ricevere il più possibile un'informazione pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti.

In particolare nella sentenza Information-sverein Lentia c. Austria del 24 novembre 1993 la Corte di Strasburgo ha statuito che la tutela del diritto all'informazione può essere garantita dagli Stati membri esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è "ultimate guarantor". Il principio pluralistico -poi- nelle tradizioni costituzionali degli Stati membri (ivi compresa l'Italia) va distinto in "pluralismo interno" e "pluralismo esterno" il primo inteso quale complesso di obblighi volti a garantire l'accesso alle reti, il secondo volto a garantire la presenza di una pluralità di operatori sul mercato.

3.4. Il principio del pluralismo assume - poi la Corte di Strasburgo - un particolare significato in relazione all'attività delle imprese radiotelevisive, considerata l'ampia diffusione dei loro programmi (sentenze Jersild del 23 settembre 1994 e Piermont del 27 aprile 1995).

3.5. Va citata altresì la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sul pluralismo (n.1/99) che nel preambolo, rileva che "l'esistenza di una molteplicità di "Media-outlets" (fornitori di servizi di comunicazione commerciale), autonomi ed indipendenti, a livelli diversi, nazionale, regionale e locale generalmente aumenta (enhances) il pluralismo e la democrazia". Su tale premessa si raccomanda agli Stati membri di adottare misure per promuovere il pluralismo nei media. In particolare, sotto la rubrica "Regulation of ownership: broadcasting and the press", sottolinea la necessità che gli Stati adottino una normativa finalizzata a prevenire o reprimere concentrazioni che possano mettere a repentaglio il pluralismo dell'informazione a livello nazionale, regionale o locale.

3.6. La Risoluzione più in dettaglio, chiede agli Stati di introdurre una disciplina in termini di soglie finanziarie volta a limitare l'influenza che un singolo operatore o un gruppo può esercitare in uno o più mezzi di comunicazione. Tali soglie, procede la Risoluzione, possono riferirsi alla quota massima di audience ovvero possono essere basate sulle risorse raccolte dal singolo operatore nel mercato di riferimento. La risoluzione non prende in considerazione il numero dei canali controllati da un singolo soggetto, ciò perché tale criterio potrebbe essere del tutto insufficiente rispetto ad un effettivo ampliamento delle risorse disponibili ottenuto grazie all'uso di sistemi di diffusione di programmi alternativi all'etere terrestre (quali il satellite, il cavo) o sistemi di compressione digitale del segnale anche diffuso via etere terrestre (digitale terrestre).

3.7. La Risoluzione non è un testo normativo, ma può assumere, come in effetti assume, rilevanza ai fini dell'interpretazione dell'art. 10 CEDU.

3.8. Altra disposizione rilevante è l'art. 11, co. 2 della Carta europea dei diritti fondamentali secondo cui "La libertà dei media ed il loro pluralismo sono rispettati". Tale testo può considerarsi avente valore ricognitivo delle tradizioni costituzionali degli Stati membri e la sua violazione è un illecito comunitario ai sensi dell'art. 7 del Trattato sull'Unione Europea.

3.9. In questo senso si è espresso il Parlamento Europeo nella risoluzione del 15 gennaio 2003 "Rapporto sullo stato dei diritti umani in Europa" nonché nella più recente Risoluzione dell'aprile 2004 sui rischi di violazione, nell'UE, e particolarmente in Italia, della libertà di espressione e d'informazione (art. 11, co. 2 della Carta dei diritti fondamentali).

3.10. Naturalmente il principio pluralistico deve essere "contestualizzato" e "relativizzato" alla luce della realtà tecnologiche e della consistenza dei mercati, dovendo tuttavia risolversi nella garanzia del pluralismo interno ed esterno.

A questo proposito va rilevato che la tendenza della legislazione, nel decennio scorso, era a dare rilevanza al solo numero dei canali o alla quota di proprietà, mentre attualmente rilevano parametri diversi, quali le risorse controllate da un singolo soggetto, l'audience ecc..

3.11. La Comunità ha sin dai suoi primi interventi riservato sempre attenzione al fenomeno delle trasmissioni radiotelevisive, prima con la dir. 89/552/CE considerando le stesse un "servizio" ai sensi del Trattato, del quale garantire la "libera circolazione" e la "libertà di prestazione"; poi occupandosi di tutelare la libera circolazione dei "servizi criptati" (dir. 98/84/CE).

3.12. Alla luce della considerazione dell'attività di trasmissione radiotelevisiva come "servizio" non v'è dubbio che gli Stati membri nel rilasciare le concessioni all'uso dell'etere debbano rispettare puntualmente i principi del Trattato come "riconosciute" nella "comunicazione interpretativa" della Commissione del 29 aprile 2000 assegnando le stesse secondo regole che assicurino, parimenti, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, criteri certi, obiettivi e predeterminati d'assegnazione, adeguatezza e proporzionalità agli scopi conseguiti, rispetto dei diritti dei singoli.

3.13. Tali criteri sono stati in sostanza "ribaditi" dall'art. 9 co. 1 della direttiva del Parlamento Europeo che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica ove prevede che "Gli Stati membri provvedono alla gestione efficiente delle radiofrequenze per i servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell'art. 8. Essi garantiscono che l'allocazione e l'assegnazione di tali radiofrequenze da parte delle autorità nazionali di regolamentazione siano fondate su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.

3.14. Gli obiettivi generali sono legati al raggruppamento di una concorrenza effettiva e le autorità nazionali sono tenute ad assicurare una regolamentazione tecnologicamente neutrale (art. 8 direttiva 7.3.2002 n. 2002/21/CE c.d. direttiva quadro).

3.15. Quando gli Stati membri limitano i diritti d'uso da concedere per le frequenze radio solo in numero limitato, rispettano sempre criteri di selezione obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori (art. 7 direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE, c.d. direttiva autorizzazioni).

3.16. In ultimo, anche se ai sensi dell'art. 5 della direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE sono "fatti salvi criteri e procedure specifici adottati dagli Stati membri per concedere i diritti d'uso delle frequenze radio ai fornitori di servizi di contenuto radiofonico o televisivo" si chiarisce che ciò deve avvenire "sempre" per il conseguimento di "obiettivi d'interesse generale conformemente alla normativa comunitaria" e che tali diritti "sono concessi mediante procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie".

3.17. L'adeguamento alla direttiva autorizzazioni sarebbe dovuto avvenire entro il 24 luglio 2003 (art. 17), la proroga di autorizzazioni preesistenti può avvenire "a condizione di non ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria (art. 17 co. 2).

3.18. Quanto poi alla Legge Gasparri va richiamata la recente analisi che di essa è stata fornita dalla "European Commission for Democracy through law" o "Venice Commission", con opinione del 13/6/2005 che si è soffermata analiticamente sull'impianto della legislazione ed in particolare sull'utilizzo del SIC (sistema integrato di comunicazione) come criterio per l'individuazione del mercato rilevante, quanto meno allo stadio attuale dell'evoluzione tecnologica (criterio che viene dalla Commissione ritenuto non adeguato a creare condizioni di effettiva concorrenzialità).

3.19. In tale documento si ricorda che la Commissione europea in un numero rilevante di casi antitrust che riguardavano il settore dei "media" ha distinto fra mercati differenti (Pay-TV e televisione via etere sono stati considerati distintamente) e questo sulla base della diversità delle aspettative reddituali e della tipologia di servizi resi dagli operatori. Ciò si ritiene contrastare con il "pluralismo esterno" in quanto consente il perpetuarsi di una situazione sostanziale duopolio (pagg. 22-23 dell'opinione citata).

La rilevanza e la serietà delle questioni pregiudiziali comunitarie

4. Ciò premesso, analizzata l'evoluzione del diritto italiano e del diritto comunitario in materia di sistema radiotelevisivo, ci si deve brevemente soffermare sulla rilevanza e sulla serietà delle questioni pregiudiziali ipotizzabili nella presente controversia sulla compatibilità della normativa italiana, sin dalla l. n. 249/1997, con i principi sopra individuati e le norme del diritto comunitario primario e derivato.

4.1. In primo luogo il Collegio ritiene che la controversia sia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 204 del 2004, trattandosi di una controversia su una concessione, rilasciata in materia di telecomunicazioni (art. 5 l. n. 1034/1971 e 33 co. 1 d.lgs n. 80/1998 come sostituito dall'art. 7 l. n. 205/2000 e "riscritto" da Corte Cost. n. 204/2004).

4.2. Tale controversia poi, riguardando una concessione già rilasciata, ha ad oggetto nella prospettazione, una situazione giuridica soggettiva correlata al potere amministrativo (Corte Cost. n. 204/2004), avendo l'AGCOM (come chiarito al punto 15 della narrativa in fatto) rilasciato una concessione alla società appellante per "l'installazione e l'esercizio di una rete d'impianti di radiodiffusione televisiva a copertura nazionale", senza tuttavia assegnare specifiche frequenze, nonostante la gara fosse svolta, come è ovvio, per ottenere l'effettivo esercizio di impianti radiotelevisivi su frequenze terrestri (ed è tale "anomala" situazione che si chiede di valutare a fini risarcitori). Tale controversia spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo in forza dei disposti normativi prima citati.

4.3. La controversia ha ad oggetto una domanda risarcitoria, sia in forma specifica che per equivalente, ma il Collegio, rilevato che la controversia pende in appello e che sono state evocate solo le Amministrazioni, e non i titolari delle "reti eccedenti" che, indubitabilmente, sarebbero incisi da una statuizione di condanna in forma specifica ritiene di doversi limitare a conoscere dell'unica domanda allo stato procedibile ossia la domanda di risarcimento per equivalente (riservando al prosieguo ogni ulteriore provvedimento in merito alla azione di reintegra in forma specifica).

4.4. Quanto alla domanda di risarcimento danni per equivalente, essa è stata proposta nei termini già esposti nella narrativa in fatto ai punti 33.6 e seguenti, a partire dall'anno 2000 e fino alla data odierna, con diversa quantificazione a seconda che il Consiglio di Stato ritenga accoglibile o meno (nel merito) la domanda di reintegra in forma specifica (o di adempimento mediante assegnazione delle frequenze).

4.5. La mancata assegnazione delle frequenze al vincitore della gara per il rilascio delle concessioni radiotelevisive ai sensi della legge Maccanico è stata determinata da fattori essenzialmente normativi, ripercorsi tutti nella parte in diritto dell'ordinanza, dedicata all'evoluzione del sistema radiotelevisivo nel diritto italiano (parte in diritto, numeri 2 e ss.). In particolare si deve considerare che l'art. 3 della l. n. 249/1997 consentiva agli "occupanti di fatto" delle frequenze radio, legittimati ad operare in base alla disciplina antecedente la legge Mammì (l. n. 223/90), dichiarata incostituzionale con la sentenza Corte Cost. n. 420/1994 (che tuttavia aveva lasciato in vita la disciplina transitoria del d.l. n. 323 del 1993), di continuare a trasmettere fino al rilascio delle nuove concessioni ovvero alla reiezione della domanda e comunque non oltre il 30 aprile 1998" termine tuttavia derogabile dall'Autorità, in caso di complessità del piano d'assegnazione delle frequenze, senza superare il 30 aprile 1999 (art. 3 co. 2 l. n. 249/1997) termine poi ancora posticipato di nove mesi dall'art. 1 l. 30 aprile 1998 n. 122.

4.6. La stessa legge Maccanico, all'art. 3 co. 7, consentiva la prosecuzione di tali trasmissioni di fatto praticamente rimettendo all'Autorità la fissazione di un termine finale, alla sola condizione che le trasmissioni fossero effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo.

4.7. Tale situazione veniva dichiarata incostituzionale dalla Corte Cost. con la sentenza n. 466 del 2002 fissando la data, improrogabile, del 31.12.2003 entro la quale i programmi irradiati dalle reti eccedenti avrebbero dovuto essere trasmessi solo via satellite o via cavo (con liberazione delle frequenze da assegnare all'appellante).

4.8. Il termine posto dalla Corte Cost. tuttavia non veniva rispettato, a seguito dell'intervento del legislatore di cui all'art. 1 d.l. n. 352/2003 (conv. in l. n. 43/2004) che prorogava l'esercizio dalle reti eccedenti fino allo svolgimento di una indagine dell'AGCOM sullo sviluppo delle reti digitali terrestri e poi per l'intervento della Legge Gasparri (l. n. 112/2004) che, all'art. 23 co. 5, prevede la seguente disposizione "a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, la licenza di operatore di rete televisiva è rilasciata, su domanda, ai soggetti che esercitano legittimamente l'attività di diffusione televisiva in virtù del titolo concessorio ovvero per il generale assentimento di cui al comma 1, qualora dimostrino di avere raggiunto una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione o del bacino locale"; disposizione per effetto della quale si "consolida" il fenomeno di occupazione di fatto più volte stigmatizzato dalla Corte Costituzionale italiana.

4.9. Giova rilevare che la domanda di risarcimento danni per equivalente, alla luce del diritto interno, non sarebbe fondata, quantomeno fino al 31.12.2003, avendo la Corte Cost., con la sentenza n. 466 del 2002, "legittimato" fino a tale data il periodo transitorio previsto dalla legge n. 249/1997 (legge Maccanico).

4.10. Per i danni subiti in conseguenza della mancata attribuzione delle frequenze, nel periodo dal 2000 al 31.12.2003, residua, quindi, solo la possibilità di una verifica della compatibilità comunitaria della disciplina di cui alla l. n. 249/1997.

4.11. Giova puntualmente richiamare il principio secondo cui una volta pronunciatasi la Corte Costituzionale di uno Stato membro, non deve ritenersi improprio che lo scrutinio su di una legge possa essere effettuato anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, per verificare eventuali contrasti con il diritto comunitario.

4.12. Il diritto comunitario ed il diritto nazionale, infatti, pur convergendo l'operato delle Corti nella creazione di un patrimonio costituzionale comune, proprio di un ordinamento multi-livello, riposano su differenti norme fondamentali. Tali norme formano distinti sistemi giuridici, anche se integrati. Da ciò deriva che l'accertamento di un eventuale contrasto "originario" della legge Maccanico (l. n. 249/1997) con il diritto comunitario non è precluso dal giudicato costituzionale, né potrebbe mai esserlo, altro e distinto essendo lo spazio d'apprezzamento del giudice comunitario, che usa i parametri normativi suoi propri, concorrenti con quelli delle costituzioni interne, nel dar vita all'ordinamento giuridico comune.

4.13. A sua volta il diritto comunitario non è solo un diritto sovranazionale che vincola solo gli Stati, a cui il diritto interno si adegua ma è un diritto interno comune, che si indirizza ai cittadini ed alle imprese, ed opera, con la disapplicazione e/o previa uniforme interpretazione garantita dalla Corte di Giustizia CE, sostituendosi ai diritti nazionali. In ciò il diritto comunitario trova la sua radice nelle tradizioni costituzionali comuni (art. 6 Tr. Union), nel "patrimonio costituzionale europeo", per fondare autonome situazioni giuridiche soggettive, di rilevanza comunitaria, azionabili nei diversi fori.

4.14. Occorre, quindi, anche in considerazione del fatto che lo stesso appellante ha chiesto la disapplicazione della disciplina nazionale che la lede, ed ha poi, con memoria del 7 aprile 2005, formulato questioni pregiudiziali, prioritariamente rispetto alle questioni di costituzionalità (pur sollevate dall'appellante, incidenti solo su una parte della domanda - i danni lamentati successivamente al 31.12.2003, data fissata da Corte Cost. n. 466/2002 per la cessazione del periodo "transitorio" di continuazione dell'esercizio delle reti eccedenti - e sulle quali il collegio si riserva di ritornare nel prosieguo del giudizio) formulare i seguenti quesiti pregiudiziali relative alla dubbia interpretazione del diritto comunitario:

1) se l'art. 10 CEDU, come richiamato dall'art. 6 del Trattato sull'Unione garantisca il pluralismo informativo esterno nel settore radiotelevisivo, con ciò obbligando gli Stati membri a garantire un pluralismo effettivo ed una concorrenza effettiva, nel settore, basata su un sistema antitrust che, in relazione allo sviluppo tecnologico garantisca accesso alle reti e pluralità degli operatori, senza possibilità di ritenere legittimi assetti duopolistici del mercato;

2) se le disposizioni del Trattato CE che garantiscono la libertà di prestazioni di servizi e la concorrenza, nell'interpretazione datane dalla Commissione con la comunicazione interpretativa del 29 aprile 2000 sulle concessioni nel diritto comunitario, esigono principi di affidamento delle concessioni capaci di assicurare un trattamento non discriminatorio, paritario, nonché trasparenza, proporzionalità e rispetto dei diritti dei singoli e se, con tali disposizioni e principi del Trattato contrastino le disposizioni del diritto italiano di cui all'art. 3, co. 7 l. n. 249/1997, di cui all'art. 1 del d.l. 24.12.2003 n. 352 conv. in l. n. 112/2004 (legge Gasparri) in quanto hanno consentito a soggetti esercenti reti radiotelevisive "eccedenti" i limiti antitrust, di continuare ininterrottamente ad esercitare la loro attività escludendo operatori come la società appellante che, pur in possesso della relativa concessione, assegnata a seguito di regolare procedura competitiva, non hanno potuto svolgere l'attività concessionata per mancata assegnazione di frequenze (dovuta alla loro insufficienza o scarsità, determinata dalla anzidetta prosecuzione dell'esercizio da parte dei titolari delle c.d. reti eccedenti);

3) se, a decorrere dal 25 luglio 2003, l'art. 17 della direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) imponesse l'efficacia diretta di tale direttiva nell'ordinamento interno ed imponesse l'obbligo, allo Stato membro che avesse rilasciato concessioni per l'attività di radio diffusione televisiva (comprensive del diritto d'installare reti o di fornire servizi di comunicazione elettronica o diritto all'uso di frequenze), di allinearle alla disciplina comunitaria e se tale obbligo dovesse comportare la necessità di effettivamente assegnare le frequenze necessarie per svolgere l'attività;

4) se l'art. 9 della direttiva 2002/21/CE direttiva quadro e l'art. 5 della direttiva autorizzazioni prevedendo procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie (art. 5) svolte in base a criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali (art. 9) siano in contrasto con un regime di generale assentimento, previsto dal diritto nazionale (art. 23 co. 5 l. 112/2004), che, consentendo la prosecuzione delle "c.d. reti eccedenti" non selezionate a mezzo gare finisce per ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria (art. 17 co. 2 direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE c.d. direttive autorizzazioni), le quali, pur vincitrici di procedure competitive si vedono preclusa la possibilità di operare;

5) se l'art. 9 della direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro), l'art. 5, par. 2, co. 2 e 7 par. 3, direttiva 2002/20/CE (autorizzazioni) e 4 della direttiva 2002/77/CE imponessero agli Stati membri di far cessare, quantomeno a decorrere dal 25 luglio 2003 (v. art. 17 direttiva autorizzazioni) una situazione di occupazione di fatto delle frequenze (esercizio d'impianti senza concessioni o autorizzazioni rilasciate a seguito di comparazione degli aspiranti) con riferimento all'attività di radiodiffusione televisiva, quale quella svolta, così non consentendo uno svolgimento di tale attività al di fuori di qualsiasi corretta pianificazione dell'etere ed al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo oltre che in contraddizione con le stesse concessioni assegnate dallo Stato membro all'esito di una procedura pubblica;

6) se la deroga prevista dell'art. 5, par. 2, co. 2 direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) e dell'art. 4 direttiva 2002/77/CE fosse e sia invocabile dallo Stato membro solo a tutela del pluralismo informativo e per garantire la tutela della diversità culturale o linguistica e non a favore degli esercenti di reti eccedenti i limiti antitrust già previsto dalla normativa nazionale;

7) se, per avvalersi della deroga di cui all'art. 5 direttiva 2002/20/CE lo Stato membro debba indicare quali sono gli obiettivi effettivamente perseguiti con la normativa derogatoria nazionale;

8) se, tale deroga possa applicarsi al di fuori del caso dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI in Italia) anche a favore di operatori privati non vincitori di procedure competitive ed a danno di imprese che abbiano invece regolarmente visto assentita una concessione a seguito di gara;

9) se, ancora, il quadro di regole derivanti dal diritto comunitario dei Trattati e derivato, improntato a garantire una concorrenza effettiva (workable competition) anche nel settore del mercato radiotelevisivo, non avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di evitare la sovrapposizione della proroga del vecchio regime transitorio analogo collegata all'avvio del c.d. digitale terrestre, poiché solo nel caso del c.d. switch-off delle trasmissioni analogiche (con il conseguente passaggio generalizzato al digitale) sarebbe possibile riallocare frequenze liberate per vari usi, mentre, nel caso del mero avvio del processo di transizione al digitale terrestre, si rischia di ulteriormente aggravare la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo (simulcast);

10) se, in ultimo, la tutela del pluralismo delle fonti d'informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo garantita dal diritto europeo sia assicurata da una disciplina nazionale - come la l. n. 112/2004 - che prevede un nuovo limite del 20 per cento delle risorse, collegato ad un nuovo paniere (il c.d. SIC: art. 2 lett. 9; art. 15 l. n. 112/2004) molto ampio che include anche attività che non hanno impatto sul pluralismo delle fonti d'informazioni, mentre il "mercato rilevante" nel diritto antitrust è costruito normalmente differenziando i mercati, nel settore radiotelevisivo, perfino distinguendo fra pay-tv e televisioni non a pagamento che opera via etere (si vedano inter alios i casi della Commissione NO. COMP/JV. 37-BSKYB/Kirch Pay TV Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure 21/03/2000 e NO. COMP/M.2876-NEWSCORP-TELEPIU' Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure 2/4/2003).

Da quanto esposto consegue la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ai sensi dell'art. 234 del Trattato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rimette alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in via pregiudiziale, le questioni interpretative indicate al punto 4.14 (da n. 1 a n. 10) della motivazione in diritto della presente ordinanza e sospende il giudizio in attesa della pronuncia della Corte.

Riserva ogni altra pronuncia all'esito della definizione delle questioni pregiudiziali.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.