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che c’è qualche altra ragione e che il ladro è di là, e un ladro grosso, di quelli che non si possono pigliare.

— Sicuro che è una cosa orribile e spaventosa! — riprese a dire Ferruccio, rimettendosi a passeggiare in fretta attraverso la cucina, come se recitasse una parte sul palcoscenico. — È il disonore questo, capite, zia? ma voi, voi... — e così dicendo correva verso quel pover’uomo mezzo stordito dalla paura e dall’acquavite — voi non avete offerto di pagare? non avete detto ch’io avrei pagato? dovessi vendere anche le scarpe, dovessi vivere a pane e acqua tutta la vita, ma bisogna ch’io salvi quest’uomo dal disonore. O me poveretto, o la mia povera mamma, se guarda in terra! o zia, che vergogna!...

E nel nervoso parossismo il ragazzo si buttò sulla sedia, appoggiò i gomiti sulla tavola, strinse le tempie nei pugni, e stette coll’occhio infocato a guardare fisso, mentre il Berretta, movendo il capo ora a destra ora a manca, pareva diventato scemo dallo spavento.

La Colomba, soffocata anche lei dalla passione, cominciò col baciare la testa a Ferruccio, poi lo scosse, lo tirò a sè, inghiottendo con fatica quel gruppo di dolori che aveva in gola, gli disse a scatti, col fare d’una donna pratica di mondo:

— Bisogna che tu veda il sor Tognino, subito: cercalo per mare e per terra, finchè l’hai trovato, e digli che le bottiglie le paghiamo noi: ora ti darò quei pochi denari... Se non trovi lui cerca la sora Arabella.

La Colomba abbassò gli occhi, ma, sentendo che Ferruccio cominciava a tremare come una foglia, lo