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Era la prima volta, dopo la grave malattia, che osava porre il piede nello studio del signor agente di cambio, trasformato in poco tempo in una specie d’antro o di covile, tanto era il disordine e lo scompiglio della roba.

Il caminetto, il tavolino, il letto, erano più che ingombri, sepolti dalle cose più disparate, messe là, buttate là, e dimenticate; stivali, bottiglie di liquori, scatolette, cartuccie, pistole, morsi di cavallo, pipe e giornali illustrati e il tutto condito di quell’acredine speciale, che manda il tabacco trinciato di seconda qualità, delizia e ristoro dei cacciatori di forza.

Arabella, superata l’afa e la ripugnanza, cominciò a cercare con febbrile impazienza il suo astuccio verde. Che cosa l’aveva persuasa a credere così subito alle indicazioni di una donna di servizio? Non era in istato di rispondere, ma sentiva quasi che la spiegazione data dall’Augusta non poteva essere più vera e più naturale.

Cominciò a cercare cogli occhi intorno, sui tavolini e sulle sedie, e non trovando quel che le stava a cuore di trovare, provò ad aprire qualche cassetto della scrivania, colla mano tremante di una doppia emozione, tra il desiderio di ritrovare un oggetto caro e il timore di scoprire qualche cosa di più triste e di più penoso.

Durante la lunga malattia di sua moglie, Lorenzo, abbandonato a sè stesso, precipitò nelle vecchie abitudini, da cui non era uscito se non come un sol-