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e rise coi buchi del naso, che all’Aquilino faceva l’effetto d’una trappola.

— Io casco dalle nuvole. Don Giosuè assicurava che il Berretta sarebbe stato un buon testimonio nella nostra causa.

— Per questo il sor Tognino l’ha fatto legare.

— Ma, punto primo, per far legare un uomo ci vuole un motivo.

— La sete, la sete, la sete, galantuomo.

Aquilino rimase così colpito da questa notizia, che non dette più peso al titolo di galantuomo, che per la terza volta il frustapenne gli buttava sul viso. Raccolse la mente e, tentennando il capo, parlò con sè stesso, osservando che con Tognino non era facile scherzare. I preti fanno tutto facile e credono che il diavolo abbia ancora paura dell’asperges; ma il diavolo è vecchio più dei preti, e l’acqua santa, in giornata, non fa paura nemmeno ai cani idrofobi. Credevano di pigliar Tognino nel trappolino come un topolino; e Tognino cominciava col far legare il Berretta, e, un dopo l’altro, c’era da aspettarsi che facesse legare l’Angiolina per insulti e calunnie, e poi forse anche il Boffa, che gli aveva mostrato un pugno, e, guerra per guerra, non è la corda che manca a Milano: basta! A buon conto egli aveva la coscienza di essere sempre rimasto nei limiti del rispetto: e quando un uomo opera col testimonio della coscienza, non deve aver paura del suo diritto. Con tutto ciò era prudente andar col piede di piombo. Si fa presto a fare un buco nell’acqua.

— Dite un po’, Aquilino — riprese dopo un istante lo scrivano — non conoscereste per caso una certa Olimpia?


E. De Marchi - Arabella. 16