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bel tempo; alla garibaldina, pam, pam. — Buffoni! non darò a rosicchiare a questi liberaloni il mio formaggio... Fossi bestia! Vedo, come in uno specchio, che se mi lasciassi pigliare, non me la caverei più in trent’anni. Di tribunale in tribunale, di rinvio in rinvio, dopo avermi fatto spendere un capitale in carta bollata e in ricorsi, avrei di grazia di salvarmi un paio di scarpe. Faccian pure la causa, se hanno gusto, gli altri; io non mi muovo. Io non ho nulla a dimostrare ai giudici. Son essi che devono dimostrare che il mio testamento non è un testamento. Intanto il Berretta è a posto.

Il treno lo portava nella crescente oscurità della sera verso la pianura e verso quel gran cittadone, che gli diventava ogni giorno più antipatico. Nella penombra gli passavano davanti i casolari oscuri e raggruppati dei villaggi e dei cascinali, da cui usciva il fumo lento delle povere cene. Trasparivano i piccoli lumi delle stalle e i fuochi vivi dagli usci aperti. Qualche suono d’avemaria mescolavasi al rombo del treno, e nei pochi minuti di sosta alle stazioni vedeva dappertutto della gente felice, seduta in terra a fumar la pipa, o dei gruppi di ragazze che tornavano a casa dalla filanda, cantando come se avessero mangiato la felicità colla polenta. Quattro spanne di terra, quattro patate, quattro fagiuoli, una scodella di latte e questa gente è padrona del mondo. Più furba questa gente in fondo (se lo sapesse) di chi logora anima e scarpe dietro il quattrino o dietro la gloria, o a cavallo di un puntiglio, o in una continua e rabbiosa diffidenza, per non raccogliere in fine che odio e maledizioni.

Qualche cosa come una maledizione sentiva che