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V.


La schiava è ripresa


Arabella ringraziò la Colomba e mentre questa avviavasi in cerca del signor Tognino per parlargli del vecchio Berretta, e commuoverlo sullo stato del figliuolo, essa andò a chiedere un asilo a Maria Arundelli.

Attraversò Milano chiaro e splendido nella bella giornata serena e nella frescura lieta del mattino, come una sonnambula che cammina sognando. C’era a meravigliarsi ch’essa sapesse ritrovare le strade; ma la sostenne, la portò, la guidò la medesima forza d’irritazione e di sdegno che l’aveva condotta fuori di casa, una forza che metteva radice in una profonda speranza: la liberazione... Per quanti mali avessero a succedere, nessun male poteva essere più triste del tornar nel dominio brutale e assoluto di un uomo che, non mai come ora, sentiva di non aver mai amato.

Maria Arundelli, moglie a un modesto professore di ginnasio, abitava un quartierino di poche stanze al quarto piano d’una casa nuova sul piazzale di porta Genova. Era una buona ragazzona, figlia d’un