Pagina:Arabella.djvu/456

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— Dunque, addio!

Ferruccio vacillò, appoggiò le braccia al muro, alle braccia appoggiò la testa per nascondere e per soffocare un pianto, che non era più capace di dominare.

Arabella si passò lievemente la sinistra sul volto per rimuoverne una nuvola oscura che l’avvolse, socchiuse gli occhi con un abbandono d’infinita stanchezza, si avvicinò, gli posò le mani sulle spalle, vi si appoggiò, e parlandogli nell’orecchio, ebbe ancora la forza di aggiungere:

— Senti, anch’io ho bisogno di coraggio. Il tuo piangere mi avvilisce. Anch’io devo partire tra pochi minuti. Mi aspettano... Se è vero, Ferruccio, che tu mi vuoi un poco di bene, non devi farmi soffrire così.

Il figlio della povera Marietta a quella voce che spasimava si rivolse, si drizzò sulla persona, e premendo il fazzoletto sugli occhi, cercò anche lui di essere forte: ma non potè dire che queste due parole: Madonna, aiutatemi...

Era accecato dalle lagrime e dal dolore. Sarebbe forse stramazzato in terra, se le due braccia della signora non l’avessero stretto e sostenuto. Sentì il calore d’un viso ardente sul suo: sentì sulla fronte e sui capelli una furia di baci ardenti, sentì due mani gelide che gli serravano la testa: ma non osò, non potè aprire gli occhi. La sua vita precipitava in un abisso vuoto, oscuro, senza fondo.

La Colomba, che entrata non vista, assisteva da mezzo minuto a quella scena, cercò di separarli. — Certo che voi morirete e ci farete morire anche noi. O Madonna dell’afflizione, abbiate misericordia! — E strappando Ferruccio per un braccio, gli disse con accento sconvolto misto di pietà e di rimprovero: