Pagina:Arabella.djvu/64

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l’aria ottenebrata e pregna dell’acre odore della muffa e dell’inchiostro un delicato profumo di ireos...

Porse un foglio a Ferruccio, dicendo:

— Le ho portato il promemoria della povera Teresa Stella. Sono stata ieri a vederla e fa veramente compassione. Ha il marito malato all’Ospedale e tre figliuoletti senza pane. La stanza non può pagarla assolutamente; non è mica un pretesto. Lo dica a mio suocero.

— Sissignora, glielo dirò.

— Se no, pagherò io per lei.

— Sissignora... — rispose di nuovo Ferruccio, movendo il capo come un arlecchino snodato.

— Se le può perdonare il semestre, fa un’opera di carità.

— Sissignora. — Ferruccio rosso più del fuoco corse ad aprir l’uscio, come se avesse bisogno di mandarla via subito. Tremava tutto.

— La permette, la mia bella signora, che io la riverisca? — disse la zia Colomba, facendosi avanti con una riverenza e co’ suoi due fagotti infilati sulle braccia. E mentre Arabella le fissava gli occhi in faccia: — Son la Colomba, che servivo i Grissini, la zia di questo figliuolo, si ricorda?

— Molto bene: e vi trovo tal e quale. Come state, Colomba?

— Si resiste. E la sua bella mammina sta bene? Come s’è fatta grande e bella, angeli custodi! Non è più quella magrina bionda che trovavo sulle scale, si ricorda? Ho dovuto domandare a Ferruccio...

— Brava! venite a trovarmi qualche volta.

— Certo, volontieri: mi farà una grazia.

— Lei si ricorda... — riprese a dire Arabella rivolta verso il giovane. — È una carità...