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444 la scolastica.

Se si va assottigliando in cose minime!
Pistone.Anzi pur grandi, sì che già m’increscono.
Bonifacio.Staranvi assai?
Pistone.                         Cinque o sei giorni. Espettano
Un vecchio lor di casa, che debb’essere
Qui presto, il qual poi le conduca a Padova.
Bonifacio.Perchè non vuol che si sappia?
Pistone.                                                  Al giudicio
Mio, queste donne, perchè qui si veggono
1Senza serve e famigli, si vergognano.
Ma voglio andar.
Bonifacio.                             La via è espedita e libera.
Pistone.Ma, per dio, questa cosa, Bonifacio,
Stia in voi.
Bonifacio.                  Non dubitar, chè segretario
Non potresti trovar di me più tacito. —
Quel ch’egli ha detto a me, se cento vogliono
Saper, lo diría a tutti; ma ponendovi
Patto però, ch’ad altri non ridicano.
E di quel ch’egli afferma, ch’abbia Eurialo
Commesso che nè a me, nè a messer Claudio
In spezie, se ne parli, si può credere
Che se ne menta: ma quest’è il suo solito
Di sempre rapportar ciarle, e di spargere
Zizzanie, ed attaccar risse e discordie,
Col malanno che Dio gli dia. Ma debbono
Esser queste le donne che s’aspettano
Qui; chè con lor veggio che viene Accursio.
Vô veder se però questa Flamminia
2È bella come la fa messer Claudio,
E s’egli ha avuto in amar bôn giudicio.



    re, che è misero:» lezione priva di senso. La lieve correzione da noi fatta fa spiccare un modo non illodevole della lingua parlata, e frequentissimo ancora in Toscana, ove sogliono così trasporsi le parole che altri proferirebbe: Oh che misero (spilorcio) debbe esser costui ec.! Vuolsi però confessare, che dallo stesso Gabriele Ariosto procede la variante adottata dai più: «Esser non dê che misero.»

  1. Mancano undici versi nell’autografo.
  2. Mancano altri nove versi nel medesimo.