Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/253

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alla spiaggia altrettante volte quante ci erano venuti prima. Certamente io non poteva pensare senza un certo orrore a ciò che sarebbe divenuta la mia condizione, se mi fossi scontrato in essi e m’avessero scoperto allor quando, pressochè nudo e disarmato, se si eccettui un moschetto carico spesse volte di soli pallini, io camminava per ogni dove, andava attorno, scandagliava ogni pertugio dell’isola per vedere che cosa acconcia ai miei bisogni avrei potuto procacciarmi. Come sarei rimasto orridamente sorpreso, se quando scopersi l’impronta di un piede umano avessi veduto invece quindici o venti selvaggi, se gli avessi trovati in atto d’inseguirmi, chè certo, attesa la velocità del loro correre, mi sarebbe stato impossibile il sottrarmi da loro! Tali considerazioni deprimevano tanto la mia anima, travagliavano tanto la mia mente che non poteva ricuperarla abbastanza presto per pensare al partilo cui mi sarei appigliato in tal caso. Certo mi sarei trovato inabile ad ogni resistenza per mancanza non solo di forza fisica, ma di forza morale a pensare al modo di tirarmi d’impaccio: forza morale molto minore di quella che avrei avuta ora dopo aver tanto meditato su i pericoli che mi sovrastavano e dopo essermici tanto apparecchiato. Da vero dopo avere meditato seriamente su tali cose io diveniva malinconico oltre ogni dire, e questa tristezza mi durava un bel pezzo; ma finalmente io ne troncava il corso col volgermi a ringraziare la divina providenza che dopo avermi liberato da tanti rischi celati, mi tenne anche lontano da quelle disgrazie donde io non avrei avuto modo di liberarmi da me medesimo, perchè privo d’ogni menoma previdenza che mi sovrastassero, o d’ogni menomo sospetto che potessero avvenire.

Le quali cose rinfrescavano alla mia mente un’osservazione ch’io avea già fatta sin da quando principiai a scoprire le misericordiose disposizioni del cielo in mezzo ai pericoli entro cui ci avvolgiamo nel corso di nostra vita: il prodigio cioè onde siamo preservati dalla sventura, quando anche non ci accorgiamo punto di esservi, come allorchè ci troviamo in quello che chiamiamo stato di perplessità, allorchè siamo nel dubbio se ne convenga attenerci a questa o a quella strada, o anzi allorchè il nostro raziocinio, o la nostra inclinazione, o forse l’andamento naturale della cosa ne addita la prima delle due strade; e ciò non ostante una strana impressione, e che non comprendiamo nè donde scaturisca nè da qual forza venga prodotta nella nostra mente, ci spinge su l’altra; e dopo vediamo chiaramente