Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/435

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robinson crusoe 379

alto ordine di tutte l’altre, che vuol essere posseduta o al cui possesso almeno dobbiamo aspirare di qua dal sepolcro.

Ma la mia saggia consigliera più non viveva; io era qual nave priva di nocchiero che corre a solo grado de’ venti; i miei pensieri si gettavano perdutamente negli antichi vaneggiamenti; la mia mente era affatto volta alla mania di cercar venture su i mari; tutti gl’innocenti diletti per cui mi erano dianzi unico scopo di affezione, il mio podere, le mie gregge, la mia campestre famiglia, tutto ciò era divenuto un nulla per me: tali delizie non mi davano maggior gusto di quanto la musica ne possa dare ad un uomo privo d’udito, o la squisitezza de’ cibi a chi ha perduto il senso del palato. In somma mi deliberai di lasciar andare il governo domestico e il mio rustico fondo e di tornarmene a Londra come feci di lì a pochi mesi.

Venuto a Londra, io non mi sentiva nelle mie pieghe meglio di prima. Questo soggiorno non mi accomodava, io non aveva quivi nessuna sorta d’occupazione: nessuna, fuorchè vagare qua e là siccome quegli sfaccendati di cui suol dirsi che sono affatto inutili nella creazione di Dio, e pei quali non importa un quarto di soldo ai loro simili se sieno vivi o se sieno morti.1 Era questa fra tutte le condizioni di vita quella che più aveva in avversione, io accostumato sempre ad una vita operosa; onde ripeteva sovente a me stesso: «Lo stato del non far nulla è la massima fra le umane degradazioni.» E da vero io mi credeva più decorosamente impiegato quando spesi ventisei giorni a farmi un pancone d’abete.

Entrava or l’anno 1693 quando quel mio nipote, ch’io posi, come vi narrai, su la carriera marittima col farlo capitano di un vascello, tornò da un breve viaggio fatto a Bilbao, che fu il suo primo. Recatosi tosto da me, mi raccontò come alcuni negozianti gli avessero fatta la proposta di trasferirsi per conto delle loro case alle Indie Orientali o alla Cina.

— «Adesso, zio, egli soggiunse, se volete imbarcarvi con me,

  1. Un concetto affatto simile, benchè con frasi diverse e in un caso affatto diverso, fu espresso trentasette anni prima della pubblicazione di quest’opera da Racine quando comparve per la prima volta su le scene il Bajazet.
    L’imbecille Ibrahim, sans craindre sa naissance,
    Traine au fond du serrail une éternelle enfance;
    Indigne également de vivre et de mourir,
    Il s’abbandonne aux mains qui daignent le nourrir.