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all’orecchio, tornò a scaricarglielo nella testa, con che la fiera rimase spedita del tutto.

Questo fu veramente per noi un diporto che non ne dava di che nudrirci; ed era assai contristato d’aver perdute queste tre cariche di polvere, per ammazzare una bestia che non era di verun uso per me. Ciò non ostante Xury avrebbe voluto aver qualche cosa di essa, onde tornò a bordo chiedendomi che gli dessi l’accetta.

— «Da farne che, Xury?

— Me voler tagliare sua testa.»

Nondimeno il povero ragazzo non riuscì in questa impresa; giunse per altro a tagliargli una zampa ch’egli si portò seco a bordo, ed era una zampa di mostruosa grandezza. Pensai fra me nondimeno che la pelle di quel leone, o d’un modo o dell’altro, avrebbe potuto essere di qualche valore per noi; per lo che mi determinai a portargliela via se mi riusciva. Ci mettemmo dunque Xury ed io a questo lavoro; ma Xury si mostrò assai più abile di me, perchè io da vero non sapeva come mettermici. Sicuramente questa opera ne portò via l’intera giornata; ma la pelle del leone finalmente l’avemmo, e stesala sul letto della stanza della scialuppa, il sole la seccò in non più di due giorni, sicchè me ne servii in appresso per giacervi sopra.

Dopo questa fermata costeggiammo di continuo verso ostro per dieci o dodici giorni, vivendo con grande risparmio delle nostre vettovaglie che cominciavano a scemarsi in notabilissima guisa, nè ci portammo alla spiaggia più spesso di quanto ne fu necessario per cercare acqua dolce. In questa fu mio disegno d’avviarmi verso il fiume Gambia o il Senegal, vale a dire, sempre nelle vicinanze del Capo Verde, ove mi rimanea la speranza d’incontrarmi in qualche vascello europeo, espettazione che, se fosse andata delusa, io non aveva altra speranza dinanzi a me, se non quella di raggiugnere le isole: altramenti, morire fra i Negri.