Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/227

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merito, In noi; cioè spiriti beati, l’affetto; cioè lo desiderio nostro, che è quietato, che non vuol più ch’egli abbia, sì, che non si puote; cioè per sì fatto modo, che non si può l’affetto nostro, Torcer; cioè piegar, ad alcuna nequizia; cioè ad alcuna inequalità et iniustizia. Et ora induce una similitudine, usando antipofora 1 rispondendo ad uno dubbio che si potrebbe muovere; cioè perchè volse Iddio che questi gradi di beatitudine fusseno in vita eterna. E dice che questo è per maggiore diletto dei beati che s’accordono sì insieme, che ciascuno è così contento del ben del prossimo come del suo, perche quine è perfetta carità et amore, e cresce accidentalmente sempre la loro beatitudine, rallegrandosi dell’altezza di quegli che sono in maggiore grado, come di loro medesimi. E però dice: Diverse voci; cioè nell’arte della musica la diversità delle voci, che insieme s’accordano, fanno dolci note; rappresentate all’audito, Così diversi scanni; cioè diverse sedie e diversi gradi di beatitudine, in nostra vita; cioè nella nostra vita beata, Renden dolce armonia; cioè dolce concordanzia di voluntadi, come armonia è concordanzia di voci e di suoni, tra queste rote; cioè tra queste spere che si rotano e girano continuamente, nelle quali si rappresentano le nostre opere co le quali abbiamo meritato l’eterna beatitudine, secondo la fizione del l’autore; ma, secondo lo suo intelletto che ebbe di questo, s’intende tra le sedie del cielo empireo, nel quale li beati sono e ragguardano Iddio, et in quello aspetto frueno 2; e così è adempiuta la loro beatitudine.

C. VI — v. 127-142. In questi cinque ternari et uno versetto lo nostro autore finge come Iustiniano, continuando lo suo parlare, dimostri loro un altro spirito beato che era con loro. Ecco che ben finge l’autore che Iustiniano fusse eloquente et avesse a mente istorie e novelle, secondo la influenzia di Mercurio inducendolo ora a dire la novella di Romeo, la quale si dice in questa forma. Essendo Ramondo Berlinger, conte di Provenza, uomo che poco curava di vedere gli fatti di sua corte, anco più tosto prodigo del suo, aveva lo suo contado molto mancato, gittando gli famigli della corte e scialacquando lo suo, eziandio li ragazzi della stalla straziando e gittando lo strame e l’orzo, e mal procurando gli cavalli; e per questo conveniva che iniuste estorsioni e disequali si facessono ai suoi sudditi. Come piacque a Dio, un di’ avvenne uno Romeo, che andava peregrinando, e capitò alla stalla di questo conte e chiese ai ragazzi bene et elemosina per l’amore d’Iddio; costoro avevano roba assai arrecato a la stalla e buoni vagelloni di vino, dierno a questo peregrino roba assai et albergornolo nella stalla. Questo

  1. C. M. antifora
  2. Frueno: godono, dall’infinito fruere, verbo della terza coniugazione foggiato sulla seconda, come apparere, influere, pentere e simili. E.