Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/25

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   [v. 13-36] c o m m e n t o 13

luce, e però ne piglia più che li altri che sono di luce adiunta a la materia, Fu’ io; cioè fu’ io Dante, e questo si dè intendere ch’elli vi fu intellettualmente; ma non corporalmente; ma finge secondo la lettera ch’elli vi fusse corporalmente: imperò che secondo la figura del Grammatico; cioè sinedoche e lo colore del Rettorico intellezione, lo tutto si può ponere per la parte e quel che è della parte dare al tutto. e vidi cose; cioè io Dante, che; cioè le quali, ridire; cioè raccontare a li altri, Nè sa, nè può chi di lassù discende; questo dice, per accordarsi col detto di san Paolo che dice: Et vidi arcana Dei, quae non licet homini loqui; e rende la cagione quando dice, Perchè; cioè imperò che, appressando; cioè approssimando, Nostro intelletto sè; cioè sè medesimo, al suo disire; cioè al suo desiderio che è lo sommo bene; cioè esso Iddio, si profonda tanto; cioè entra tanto a dentro, Che la memoria non può ire drieto; cioè nello intelletto; nelle quali parole pone questa sentenzia che, quando lo intelletto umano viene al fine desiderato, si mette tanto a dentro in esso che la memoria non può ire tanto a dentro, e così non se ne può arricordare. Veramente quant’ io; cioè quanto io Dante, potei far tesoro del regno santo; cioè del paradiso, Nella mia mente; cioè nella mia memoria, Serà ora materia del mio canto; cioè tanto ne dirò in questa mia cantica, quanto i’ò potuto riponere nella mia memoria; e fatta la proposta della materia, seguita la invocazione.

C. I — v. 13-36. In questi otto ternari, posta di sopra la proposizione della materia, lo nostro autore fa la sua invocazione, et a modo poetico invoca Appolline lo quale fu esercitatore della poesi, secondo che dice Orazio nel primo libro che si chiama Poetria: Ne forte pudori Sit tibi Musa lyrae solers, et cantor Apollo. E benchè secondo la lettera invochi Appolline; secondo l’allegoria invoca Iddio: imperò che li Poeti, invocando le grazie e le virtù, le invocano sotto vari nomi, e fingono che quelli siano iddii; ma elli intendono che sia uno Iddio quello, da cui vengnano tutte le grazie; ma chiamallo 1 sotto diversi nomi, secondo che dimandano la grazia a diversi effetti. Et imperò che l’autore abisognava della grazia d’Iddio a compiere questo suo poema, però chiama Appolline che figura la grazia della poesi, e però dice: O buono Appollo; questo secondo Appollo, secondo la poesi, fu figliuolo di Iove, secondo figliuolo di Cielo 2 lo quale ebbe di Latona insieme d’uno parto e Diana: fu un altro Appollo primo, figliuolo di Vulcano e di Minerva. Li Poeti ànno

  1. Chiamallo; chiamano quello: avvegna che i padri nostri, congiungendo alla terza persona plurale il pronome lo, la, mutassero per certa dolcezza in l la n. E.
  2. C. M. di Cellio lo quale Appolline Iove preditto ebbi