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p a r a d i s o xiv. |
[v. 127-139] |
amare, non s’innamori? Forsi la mia parola; dice l’autore: Forsi ch’io paio parlare troppo eccessivamente; e però dice: par troppo osa; cioè troppo alta, cioè che nessuna cosa infine a qui m’avesse legato con più dolci legami che la meditazione de la croce di Cristo; et assegna la cagione per che, dicendo: Posponendo ’l piacer delli occhi belli; cioè imperò che nel mio dire io pospongno lo piacere dei belli occhi di Beatrice, dicendo che nessuna cosa infine a qui m’avea legato con più dolci legami, che quella meditazione 1 che detta è, Nei quai; cioè nei quali occhi, mirando; cioè io Dante, mio disio; cioè mio desiderio, à posa: imperò che, ragguardando amenduni l’intelletti de la santa Teologia, lo desiderio di Dante e d’ogni intelligente uomo si quieta. Ma chi; cioè ma colui lo quale, s’avvede; cioè cognosce e comprende, che i vivi suggelli; chiama li pianeti suggelli vivi, servando quello che àe detto di sopra, che Iddio impronta de la sua virtù in essi; et essi improntano ne le cose di sotto; e dice vivi, perchè si muoveno et ànno continua operazione, D’ogni bellezza; ecco di che suggelli 2, cioè informativi, cioè d’ogni bellezza, cioè d’ogni virtù: imperò niuna cosa propriamente si può dire bella, se non la virtù: imperò che bello tanto è a dire, quanto piacente; e nessuna cosa perfettamente piace, se non la virtù, più fanno; cioè maggiore efficacia ànno ne l’operare, più suso; cioè quanto sono più suso; ecco la cagione, per che nessuna cosa infine a qui l’avea più innamorato che questa: imperò che la virtù di Marte, che è più suso che li altri quattro pianeti, più l’avea mosso: imperò che egli è di maggiore efficacia che li altri; e questo è ragionevile: imperò che quanto li pianeti s’accostano più al cielo, maggiore impressione riceveno da lui. E perchè di questo nasce una tacita obiezione che si può fare; cioè s’è così, dunqua Beatrice che era montata insin quine, dovea essere di maggior bellezza che non era stata infine a quine e doveva piacere di più che mai? A che 3 elli risponde, dicendo: Elli è vero quello che tu di’; ma io non l’aveva anco ragguardata poi che io era intrato in Marte, sicchè sta vero lo mio dire, e però dice: E chi s’avvede ch’io; cioè che io Dante, non m’era lì; cioè non m’era in quello luogo, cioè Marte, rivolto a quelli; cioè a li occhi di Beatrice: imperò ch’elli aveva considerato lo pianeto Marte, secondo la dottrina de l’Astrologia, che dice che Marte àe a dare influenzia di fortezza contra le passioni infine a quel punto, e non aveva considerato ancora lo stato de’ santi martiri che ebbono fortezza 4 contro tutte le passioni secondo la santa
- ↑ C. M. che la meditazione della croce di Cristo, Nei
- ↑ C. M. di che sono suggelli informativi,
- ↑ C. M. Dunque come disse di sopra l’autore che nessuna cosa l’avea così innamorato come quella che avea veduto. A che
- ↑ C. M. fortezza e vittoria contra