Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/441

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[v. 127-139] c o m m e n t o 429

Teologia, e però dice che non sera anco rivolto alli occhi della santa Teologia; e chi pensa questo ch’io dico, Escusar pommi; cioè puote escusare me Dante, di quel ch’io m’accuso; cioè io m’accuso ch’io non m’era rivolto a li occhi di Beatrice; e perchè cioè? Perch’io mi voglio scusare di quello ch’io dissi; cioè che infine a quine cosa nessuna m’era più piaciuta, che ’l canto detto di sopra; e perchè mi può scusare? Perch’elli si può avvedere ch’io non m’era ancora rivolto a li occhi di Beatrice; e perchè m’accuso io di questo? Per iscusarmi; cioè per iscusare me di quel ch’io dissi, cioè che nessuna cosa infine a qui ve m’era più piaciuta che ’l canto di quelli beati spiriti, e non aveva eccettato Beatrice, e vedermi dir vero; cioè colui che s’avvedeva 1 di quello ch’io dico, cioè che non ò finto in nessuna parte che, poichè io montai in Marte, io ragguardasse li occhi di Beatrice. E però bene era vera la mia parola, che nessuna cosa m’avea sì legato come lo piacere del detto canto infine a quine: imperò che, se io avesse ragguardato lei, ella mi sarebbe più piaciuta. Ma qui nasce uno altro dubbio, cioè: Dante l’avea ragguardata nelli altri pianeti, dunqua come dice che infine a qui non fu mai cosa che sì lo innamorasse: con ciò sia cosa che nè predetti luoghi abbi detto sè delli occhi di Beatrice essere eccessivamente innamorato? A che si dè rispondere che la materia, di che ora l’autore àe incominciato a trattare, eccede tutte l’altre trattate infine a qui, o secondo l’Astrologia, o secondo la Teologia; ma questa trattata, secondo la Teologia, avanza sè medesima, trattata secondo l’Astrologia e tutte l’altre; ma secondo questo modo non l’avea anco trattata nè considerata. Chè ’l piacer santo; ecco che assegna la cagione, per che chi considera et avvedesi di quel che detto è, può vedere me Dante dire lo vero quando io dissi che nessuna cosa m’era più piaciuta che quella melodia infine a qui, dicendo: Chè ’l piacer santo; cioè imperò che ’l piacer santo, cioè de la santa Teologia, non è qui dischiuso; cioè non è quinci eccettato, cioè da questo pianeto Marte, benchè da questo grande piacere e maggiore di tutti, che io dissi me avere avuto nel canto, ch’io uditti in Marte, non s’inchiuda: imperò che, bench’io dicesse generalmente, nessuna cosa si debbe intendere de le cose udite, non de le vedute; e se volesse 2 de le vedute ancora, non s’intenderebbe di Beatrice: imperò ch’io noll’aveva anco veduta; che se io l’avesse veduta, poich’entrammo in Marte, arei eccettato lei o detto di lei; et ecco la cagione: Perchè si fa, montando, più sincero; ecco la cagione, poichè non è dischiuso lo piacere de la santa Teologia dal mio parlare:

  1. C. M. che s’avvederà
  2. C. M. volesse intendere de le