Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/481

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Ginevra e Lancellotto; et in altro luogo presi a mano Galeotto e Branguina, sicchè si poteano vedere, accorgendosi Branguina che Lancellotto stava stupido e timoroso e niente diceva a la reina, ella incominciò a tossire, quasi dicesse: Che fai tu? Sente che io sono con Galeotto: fa quello, per che tu se’ co la reina; e così dice che Lancellotto, preso ardire, diede compimento a la intenzior . E così dice l’autore che lo riso di Beatrice fu cenno a lui che li dovesse addimandare di quello che dubitava e voleva esser certo, e non lassasse per riverenzia, come fu cenno lo tossire di Branguina a Lancellotto che facesse quello, per che v’era, e non lassasse per riverenzia del re. Io, cioè Dante, cominciai; cioè a parlare a messer Cacciaguida mio avo terzo. Ecco che manifesta in che modo l’incominciò a parlare; cioè: Voi; ecco che incominciò da Voi, come àe detto di sopra parlando ad uno, cioè voi messer Cacciaguida, siete ’l padre mio: imperò che siete mio terzo avo, dal quale è lo mio descenso siccome da padre del padre del padre del mio padre. Voi; cioè messer Cacciaguida, mi date tutta baldezza; cioè tutta baldanza, a parlar; cioè che io parli con voi. Voi mi levate sì; cioè in altezza d’animo, ch’io; cioè che io Dante, son più ch’io: imperò che io sono duo tanto sicuro più, che io non era innanti. Per tanti rivi; cioè per tante influenzie che vengnano da voi, come li rivi da la fonte, s’empie d’allegrezza La mente mia; cioè la mente di me Dante s’empie d’allegrezza per taune influenzie di letizia che vegnano da voi, come s’empie lo stagno per tanti rivi che in esso corrono, che di sè fa letizia; cioè ch’ella si rallegra di sè medesimo; et assegna la cagione. Perchè cioè imperò che ella, può sostener; cioè la mia mente, che non si spezza; cioè ch’ella non si rompe imperò che, intrandoci tanta allegrezza quanta voi m’infondete, ella come non capace di tanta si dovrebbe rompere et ella non si rompe, e questo è quello di che ella si rallegra. Poi che à mostrato grande congratulazione al suo terzo avo, lo dimanda di quattro cose, e però dice: Ditemi dunqua; poi che io sono fatto sì sicuro e così baldo e lieto, dite a me Dante voi messer Cacciaguida, cara mia primizia; cioè lo quale siete lo primo, che nobilitaste la mia origine; per la qual cosa siete caro a me, Quai fur li antichi vostri; ecco l’una dimanda che fa l’autore al suo terzo avo detto di sopra, e quai fuor li anni, Che si segnaro in vostra puerizia; ecco lo secondo dimando 1, cioè in che datale nascè 2, Ditemi de l’ovil di san Ioanni Quant’era allora; ecco lo terzo dimando, cioè: Ditemi quanto era allora Fiorenza quando

  1. C. M. dimando, cioè che datale era quando nasceste, Ditemi — Nel Laurenziano già accennato è - cioè che naturale era
  2. Nascè; desinenza primitiva dall’infinito nascere. E.