Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/879

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     [v. 100-114] c o m m e n t o 867

l’autore puose quelli tre adiettivi, per mostrare che la mente sua facea bene, come colui che vuole perfettamente comprendere. E sempre di mirar; cioè la Divinità, faceasi accesa; cioè la mia mente sempre diventava più ardente di considerare e cognoscere Iddio: quanto più l’uomo contempla a Iddio, tanto più cresce l’ardore di contemplarlo.

C. XXXIII — v. 100-114. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, continuando la sua materia, elli conferma quello che avea detto, e scusasi di 1 poter parlare a pieno de la Divinità, dicendo così: A quella luce; cioè divina, de la quale òe detto, cotal si diventa; quale io dissi di sopra, cioè che la mente mia era tutta inalzata e Mirava fissa et immobile et attenta la Divinità, e sempre in lei cresceva l’ardore di mirare a quella. Chè; cioè imperò che, volgersi da lei; cioè da essa luce divina, per altro aspetto; cioè per altro ragguardamento. cioè per ragguardare altra cosa, E impossibil che mai si consenta: non può la voluntà umana non volere lo sommo bene, quando li è mostrato; e però non si può volgere da esso per altro bene. E l’autore nostro assegna la cagione, dicendo: Però; cioè imperò, che l’ ben; cioè sommo, che è Iddio, che; cioè lo quale bene sommo, è obietto del voler: la voluntà umana àe per suo obietto lo sommo bene: imperò che non può volere se non quello, se non quando ella è ingannata, parendoli sommo bene quello che non è, Tutto s’accollie in lei; cioè ne la luce divina, e fuor di quella; cioè di quella luce divina, È defettivo ciò che è lì perfetto; cioè è bene imperfetto ogni bene, che in Dio è perfetto; e però dice: È defettivo ciò; cioè ogni bene, che; cioè lo quale, è lì; in essa luce divina, perfetto. Omai; cioè oggimai, serà più corta mia favella; cioè lo parlare di me Dante sarà più corto et 2 indeficiente, Pur a quel, ch’io ricordo; cioè non dico per rispetto di quel, ch’io mi ricordo; ma eziandio di quello, ch’io non 3 mi ricordo della Divinità, che d’un fante; cioè d’un fanciullo, Ch’ancor; cioè lo quale ancora, bagni la lingua; cioè sua, a la mammella; cioè a la puppa della sua nutrice, cioè che bea 4 ancora la puppa. Non perchè più ch’un simplici sembiante Fusse nel vivo lume; cioè non sarà corta la mia favella, perchè in Dio fusseno molte apparenzie; ma era lo contrario, che in lui è unità e simplicità; e però dice: Non sarà corta la mia favella, perchè più apparenzie e similitudini fusseno in lui, che in lui non era, se none una semplici apparenzia, ch’io; cioè lo quale vivo lume io Dante, mirava; cioè che io ragguardava, Che;

  1. C. M. scusasi che non può parlare
  2. C. M. più certo et insufficiente,
  3. C. M. ch’io non mi ricordasse bene della
  4. C. M. che bea ancora lo latte e succhi la puppola della sua nutrice.