Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/455

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fetti; poi de la gola, che si stende ai diletti del gusto; poi de la lussuria, che si stende ai diletti del tatto. Io; cioè Dante, la mirava; cioè questa femina così descritta; e fa una similitudine, e come ’l Sol conforta Le fredde membra; cioè delli animali sensibili et anco dei vegetabili, come sono le rami1 e le frondi dell’erbe e delli arbori, che; cioè li quali, la notte aggrava; col suo freddo, facendo sentire alli animali sensibili le membra, e chinando l’erbe e li rami e le follie in verso la terra; e poi lo caldo del Sole ristora le membra fredde, e caccia col caldo la debilità del dolore generato per lo freddo, e così rileva l’erbe, li rami e le follie. Così; ecco che adatta la similitudine, lo sguardo mio; cioè lo ragguardamento, ch’io facea in verso quella femina, li facea scorta; cioè parlevile et intelligibile, La lingua; la quale prima era balba, e poscia tutta; cioè quella femina, ch’era così torta et imperfetta, la drizzava; cioè lo mio sguardo, In poco d’ora; cioè in poco spazio di tempo, e lo smarrito volto; di quella femina, amor; cioè immoderato, che l’omo àe ad essa, lo colorava; cioè li dava colore, Come vuole; cioè se la rappresentava tale, quale la volea. Per questa finzione dà ad intendere che la mondana felicità imperfetta e falsa pare a l’omo tale, quale elli se la rappresenta; e però che ella ci paia perfetta e vera, questo è per lo falso nostro vedere. E però dice Boezio nel terso libro della Filosofica Consolazione: Igitur te pulcrum videri non tua natura; sed oculorum spectantium reddit2 infirmitas; e nel secondo dice: Adeo nihil est miserum, nisi cur putes; contraque beata sors omnis est aequanimitate tolerantis. Et ecco che l’autore àe fatto qui quello, che finse che dicesse Virgilio nell’ultima parte del canto xvii, dove disse: Altro bene è che non fa l’om felice ec., Ma come tripartito si ragiona, Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.

C. XIX — v. 16-33. In questi sei ternari lo nostro autore finge che, poi che per lo sguardo suo quella femina descritta di sopra fu mutata et appiattata la sua imperfezione, ella incominciò a cantare e mostrare chi ella era; e come n’apparve un’altra3, che ella fece manifesta, dicendo così: Poi ch’ella; cioè poi che quella femina, avea il parlar; cioè la lingua con che si parla, così disciolto; come ditto è di sopra, per lo sguardo mio, Cominciava a cantar; la femina descritta di sopra, ; cioè per sì fatto modo, che con pena; cioè con fatica, Da lei avrei mio intento; cioè mia intenzione io Dante, rivolto. E dice quel ch’ella cantava: Io son, cantava; la ditta femina di sè medesma dicea, cantando: io son dolce Sirena: le Sirene4 sono

  1. C. M. li rami e le fronde
  2. facit
  3. C. M. come apparve un’altra femina che la fece
  4. Torquato Tasso nel suo Giudizio sovra la Gerusalemme, accennati questi versi dell’Allighieri, così espone «Si legge in Isaia, e dappoi in san