Pagina:Commemorazione del commendatore Domenico Promis.djvu/11

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tere, gli errori e le inesattezze de’ nummografi italiani. Conchiude con mostrare il rapporto, che hanno colle moderne, le monete battute in Siena dal principio del secolo XVI sino a’ giorni nostri. In fine del volume pone otto tavole, dove sono figurate 102 monete ed una contenente i segni de’ zecchieri.

Ma non meno della numismatica riesce importante la parte storica. Gli assedi e le alleanze, le dissensioni e i tumulti interni, ond’era la città agitata; l’uscita e il ritorno degli Spagnuoli; gli aiuti invano mandati di Francia col Montluc e Pietro Strozzi; la resa, la perdita della libertà, tutto rapidamente accenna. E noi, al leggere, che di quella simpatica città 252 famiglie nobili, 435 popolane guidate da Mario Bandini, capitano del popolo, lasciano il luogo natio e sono costrette a riparare in Montalcino, e là continuare alla meglio la zecca, rammentammo la sorte infelice dei Parganiotti, caduti preda di nefando mercato. Oh quanto le donne Senesi, che consunte di viveri, ma non di costanza, lasciano dolorando la terra natale per trasferire nelle aure della libertà, i figliuoli, somigliano alle vedove di Parga, che scoperchiati gli avelli accolgono nel grembo le ossa dei perduti lor cari, e seco le portano per sottrarle allo scherno degli oppressori!

Non di minor momento si hanno a tenere le dissertazioncelle inserte nel Bullettino dell’Accademia. Tra esse una si riferisce alla medaglia, che rappresenta Beatrice Langosco, donna tra le belle bellissima, e per vivacità d’ingegno non inferiore al Gran Cancelliere suo padre. Un’altra versa sopra alcune monete scoperte nell’agro vercellese, e con queste conferma l’opinione di coloro, che appoggiati all’autorità di Plutarco sostengono, che i Cimbri furono sconfitti περι Βερκελλας, non presso Verona, come altri pretende.

Resta per ultimo la dissertazione intitolata: Monete dei romani Pontefici, uscita nel 1858 dai tipi della Stamperia reale.

Malgrado le molte raccolte, che delle monete pontificie fecero in vari tempi l’Acami, il Vettori, il Fontanini, il Cinagli, rimaneva ancora molto a scriversi sopra di esse. Giulio di S. Quintino, monetografo dottissimo, colla solita critica ed esattezza ne aveva già fatte disegnare un gran numero, e in-

cidere sopra tavole di rame con intendimento di corredarle di un’illustrazione. Ma tolto, l’anno 1857, dalla morte agli amici ed alla scienza, lasciò interrotto il desiderato lavoro, e in mano degli eredi le tavole incise. Confortato dal S. Quintino a proseguire cosiffatta pubblicazione, il Promis vi si accinse e ne diede questa memoria.

Pochi monumenti numismatici offrono più grande interesse, che le monete dei Papi. Fece dunque il pregio dell’opera il Promis, e perchè manda viva luce sulla storia di cinquanta Pontefici, e perchè contribuisce a conferma l’opinione di Alessandro Manzoni, del che questi con gentilissima lettera lo ringraziò, di Carlo Troia e d’altri, che lodano i Romani d’avere si lungamente e con isforzi inauditi resistito ai Longobardi, contro il parere di chi crede, che proseguendo essi la loro dominazione, e connaturatisi col tempo agl’italiani, avrebbero più presto procacciato l’unità ed indipendenza della Nazione.



IV


La materia, che mi crebbe a dismisura tra le mani, ed il tempo, che stringe, non acconsentono di manifestare tutti i pregi, onde sono le opere di lui risplendenti. Concedetemi di grazia di notar solamente, che in esse la storia apre la via alle dimostrazioni numismatiche, e che queste alla lor volta vengono a raffermare la storia. In esse depose gli elementi più fecondi del suo sapere e della sua critica. In esse riunì numerose rivelazioni, deduzioni interessanti. Come a tutti i monetografi, così anche a lui avviene talvolta d’attenersi alle congetture, che non riescono certo a dimostrazioni di fisica esperimentale, nè di matematica; ma perchè non daremo loro il nostro assenso, se nè per la convenienza de’ luoghi, de’ tempi, delle usanze, nè per parte degli scrittori gli si oppongono difficoltà ragionevoli?

Esaminando, si vede, che le deduzioni di lui non sono lascivia erudita,