Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/20

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improvviso, padre delle città orfane, e reggitore de’ pubblici affari abbandonati, e allora fu che la Chiesa si trovò incontanente piena a ribocco degli onori e delle ricchezze del secolo, le quali sdruscirono in essa quasi direbbesi pel proprio peso, a quel modo che entrano le acque del mare in un seno nuovo apertosi in fra terra dove siasi ritirato il continente.

29. Questa nuova occupazione, che cominciò al Clero col secolo vi, era gravosa infinitamente e molesta a que’ Prelati santissimi, che vedevano ad un tempo e gravarsi la Chiesa della soma de’ beni terreni, perdendo essa quella povertà preziosa che gli antichi Padri avevano tanto commendata1; e venir eglino oppressi dalla mole delle cure secolaresche, che toglieva i loro animi alla contemplazione delle divine cose, e rubava il loro tempo prezioso e la lor forze alla dispensazione della parola di Cristo a’ fedeli, all’educazione del Clero, e all’assiduità delle pubbliche e private preghiere.

San Gregorio magno, che governava la Chiesa appunto in quel secolo, era inconsolabile de’ pericoli che vedeva accompagnarsi necessariamente con questa nuova carriera che si apriva alla Chiesa: e non rifiniva nelle sue lettere di lamentarsi, e di piangere delle dure circostanze de’ tempi suoi, in cui egli dee, anzi che il Vescovo, fare l’arcario o sia il tesoriere dell’Imperatore, «e sotto il colore dell’ecclesiastico reggimento, esser convolto dai flutti di questo secolo, che di frequente il sommergono2». Ripete questa frase più volte e fra le altre in una lettera che scrive a Teotista, che era sorella dell’Imperatore Maurizio, nella quale, per mostrarle la sua presente infelicità, toglie a descriverle la pace che, prima di essere innalzato al pontificato, godevasi nell’umile sua vita di monaco: «Sotto colore dell’episcopato, così egli, sono ritornato al secolo: giacchè in questa moderna condi-

  1. Non sarà discaro nè inopportuno ai nostri tempi, che io rechi in prova di ciò che dico, un insigne luogo del grande Origene. Io lo riferisco unicamente come storico monumento, e come tale non mi potrà essere rifiutato, dove apparisce in che modo a quei tempi si pensava da’ più insigni uomini della Chiesa relativamente alla povertà e alla libertà del Clero. Origene, quel grande formatore di Vescovi e di Martiri, in una delle Omelie o catechesi che faceva pubblicamente in Alessandria, cogliendo l’occasione venutagli di parlare de’ sacerdoti idolatri, a cui il re d’Egitto avea donato delle terre, uscì fuori in questi nobili sentimenti: «Il Signore non dà porzione sulla terra a’ suoi sacerdoti, perchè vuole essere la loro porzione egli stesso: e questo è il divario che passa fra gli uni e gli altri. Badate ben qui, o tutti voi che esercitate l’officio sacerdotale; badate che non siate anzi sacerdoti di Faraone, che del Signore. Faraone vuole che i sacerdoti abbiano terre, e che abbiano cura delle terre anzichè delle anime, e che intorno alta terra si adoperino, anzichè intorno alla legge di Dio. E Gesù Cristo che ordina a’ suoi? «Chi non rinunzia, egli dice, a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo.» Io tremo, in proferendo queste parole! Imperciocchè, me, me accuso il primo: e la propria mia condannazione pronunzio. A che pensiamo noi? Come abbiamo noi coraggio di leggere tali verità, e pubblicarle al popolo, noi che non pure non rinunziamo a ciò che possediamo, ma che vogliamo di più acquistare ciò che non possedevamo prima di renderci discepoli di Gesù Cristo? Ma, e se la nostra coscienza ci condanna, possiamo noi per questo nascondere ciò che è scritto? Ah non voglio rendermi colpevole d’un secondo delitto! Sì, lo confesso, e lo confesso alla presenza del popol tutto: ecco ciò che contiene il Vangelo, ecco ciò che io non posso dire d’avere ancora adempito. Ma almeno, giacchè pur sappiamo il dover nostro, poniamo mano da questo momento a soddisfarvi: poniamo mano a cessare d’essere i sacerdoti di Faraone, per divenire i sacerdoti del Signore, come Paolo, come Pietro, come Giovanni, che non avean nè oro nè argento, ma che pure possedevano tali ricchezze, che la possessione della terra intera non avrebbe potuto lor dare.» In Genes Hom. xvi. Un passo così chiaro non ha bisogno di comenti, e ognuno sa quanto esemplarmente professasse la povertà Origene.
  2. Epistol. Lib. xi. ep. I. Nos enim sub colore ecclesiastici regiminis, mundi hujus fluctibus volvimur, qui frequenter nos obrunnt.