Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/26

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re umano uscito degli anni della minorità fanciullesca volge per sempre le spalle, poichè non vi trova sè stesso, nè i suoi pensieri, nè i suoi affetti; e a cui tuttavia si condanna barbaramente e ostinatamente la gioventù, che pur col senso naturale li ripudia, e che bene spesso, per un bisogno di cangiarli in migliori, cade nella seduzione de’ libri corrompitori, o acquista un’avversione decisa agli studi, o da lungo patir violenza nello stringimento delle scuole prende un odio occulto, profondo, che dura quanto la vita, contro i maestri, i superiori tutti, i libri, e le verità stesse in que’ libri contenute: sì, un odio, dico, non bene spiegato talora, ma che lavora di continuo sotto altre forme da quelle di odio, che si veste di tutti i pretesti; che ove si spieghi, è di maraviglia a colui stesso che lo ha in sè, perocchè non sapea d’averlo e non se ne sa rendere la ragione; e che ha tutto l’aspetto di empietà, o di brutale ingratitudine verso i precettori, per altro buoni, e che hanno profuse tante cure, tante parole, e tanto amore verso i loro discepoli.

36. Ne’ principi della Chiesa, la divina Scrittura era l’unico testo dell’istruzione popolare ed ecclesiastica. Questa Scrittura, che è veramente il libro del genere umano, il libro (βιβλια), la scrittura per antonomasia. In un tal codice l’umanità è dipinta dal principio sino alla fine; comincia coll’origine del mondo, e termina colla futura sua distruzione, l’uomo si sente sè stesso in tutte le modificazioni di cui è suscettivo, vi trova una risposta precisa, e sicuro e fino evidente a tutte le grandi interrogazioni che ha sempre a fare a sè stesso; e la mente di lui vi resta appagata colla scienza e col misterio, come il suo cuore vi resta pure appagato colla legge e colla grazia. Egli è quel libro «grande» di cui parla il profeta, scritto «collo stile dell’uomo (Is. viii, 1.)»; perocchè in quel libro l’eterna verità parla in tutti que’ modi, a cui si spiega l’umana loquela: ora narra, ora ammaestra, ora sentenzia, ora canta: la memoria vi è pasciuta colla storia; l’immaginazione dilettata colla poesia; l’intelletto illuminato colla sapienza; il sentimento commosso in tutti insieme questi modi: la dottrina vi è così semplice, che l’idiota la crede fatta a posta per sè; e così sublime, che il dotto dispera di trovarci fondo: il dettato sembra umano, ma è Dio che in esso parla. Quindi «la Scrittura, dice Clemente di Alessandria, accende il fuoco dell’anima, e dirige nel tempo stesso convenientemente l’occhio alla contemplazione, deponendo per avventura in noi qualche seme, come fa l’agricoltore nella terra, e quel seme che ritrova in noi fecondando (Strom. Lib. 1.):» le quali parole se si possono applicare alle lettere in genere, molto più propriamente convengono alle divine.

37. Tale era il libro delle scuole cristiane; e questo libro grande in mano dei grandi uomini che lo sponevano, era il nutrimento di altri grandi uomini. Fino che i Vescovi furono personalmente i maestri del popolo e del Clero, essi furono anche gli scrittori della Chiesa e della società. Quindi quasi tutte le grandi opere ne’ primi sei secoli sono scritte da Vescovi, ed è per così dire un’eccezione della regola, trovare in quel tempo delle opere non iscritte da Vescovi, eccezione che cade a favore di qualche ingegno straordinario, come di Origene, di Tertulliano e d’altri tali, a’ quali, atteso il loro gran merito, si apriva l’adito anco alla cattedra cristiana. Questi libri, dovuti all’Episcopato, formano per così dire una seconda epoca nella storia de’ libri adoperati a formare la gioventù nelle scuole cristiane ed ecclesiastiche; e formano l’eredità che i Vescovi lasciarono al Clero inferiore, quando per gli affari della società politica, crollante da tutte parti e rifuggentesi nel seno della loro carità, essi furono tolti da quelle funzioni che avevano fino allora riguardate come annesse indivisibilmente al pastorale loro ufficio, quale era la formazione del popolo e del Clero; alla quale opera in-