Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/67

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zione che tutela il diritto, conviene che sia tanto forte, quanto il diritto è esteso; e però una persona sola, eziandiochè rivestita di qualunque dignità, non ha forza corrispondente all’estensione del dritto dell’eleggere i Vescovi per tutto il mondo: e però colle riserve universali fu assunta una responsabilità soverchiante le forze, fu intrapreso l’esercizio di un diritto immensamente vasto, alla cui guardia non si poteva mettere una potenza corrispondente: e un diritto senza guardia di altrettanta sanzione è precario, è un diritto perduto. Di qui i lamenti delle nazioni; di qui le umiliazioni de’ concordati, co’ quali la madre de’ fedeli è costretta da figliuoli malcontenti di discendere a patti con essi1: di qui finalmente quella piaga orribile nel corpo della Chiesa, per la quale, tolte le elezioni antiche, tolte le elezioni del Clero, spogliati i Capitoli del loro diritto, spogliati i Papi delle loro riserve, la nomina de’ Vescovi di tutte le nazioni cattoliche cadde nelle sole mani laicali, riservata la conferma (che è ben poca cosa) al Capo della Chiesa; con che fu consumata l’opera della forza vestita al di fuori di benigna pelle, cioè «la servitù della Chiesa sotto tutte le forme della libertà2. Ma prima di mostrare l’acerbità insofferibile di piaga sì orrenda, prima di parlare di questa finzione di libertà, di questa verità di servitù; io debbo trattenermi ancora ad annoverare le altre cause per le quali le elezioni Vescovili vennero a sì infelice stato, e continuarmi a narrare i combattimenti lunghi de’ santi Pontefici e de’ Pastori che tanto fecero, tanto soffrirono per impedirne l’avvenimento e mantenere la Chiesa libera di verace libertà, siccome fu costituita eternamente dal suo divino Fondatore.

81. Quando i condottieri del Nord guidarono i barbari alla conquista del Mezzodì, essi, dopo la conquista, s’intitolarono re di Francia, d’Italia, d’Inghilterra, cioè delle terre, anzichè de’ Francesi, degl’Italiani, degl’Inglesi, cioè delle persone. Essendo però impossibile ad un solo possessore, per forte che sia, conservare la proprietà della terra di sì vasti tratti di paesi, per la legge accennata, che «la sanzione atta a difendere un diritto, dee rispondere

  1. Forse mai per lo spazio di xv secoli, fra tante sciagure che ebbe, la Chiesa non cadde in tanto avvilimento da esser costretta di venire a sì fatti patti co’ fedeli! Tanta umiliazione fu dovuta ai peccati del Clero: «Se il sale diverrà fatuo, in che si salerà? non vale più a nulla, se non ad esser gittato fuori, e calcato sotto i piedi degli uomini. (Matth. v, 13.)» Dico ciò, perchè non si può dissimulare che i concordati sieno veri patti, chiamandoli con questo nome gli stessi sommi Pontefici: Nos attendentes, dice Giulio iii, concordata dicta vim pacti inter partes habere etc. (Constit. 14. sept. 1554. apud Raynald): benchè niun patto tiene quando incomincia a divenire iniquo; nè i patti colla Chiesa si debbono intendere così strettamente, che offendano la pienezza della sua potestà pel bene de’ cristiani, la quale, essenzialmente libera, non può essere giammai legata. E queste mie parole non sono già volte a condannare i concordati, ma a deplorare le necessità. Vero è che co’ concordati, nè con qualsivoglia convenzione umana, non si può derogare ai diritti divini e immutabili della Chiesa; chè non si può restringere la sua potestà legislatrice ricevuta da Gesù Cristo, nè diminuire in modo alcuno quella pienezza di autorità per la quale ella può tutto pel bene, e quindi può comandare, può ingiungere ai fedeli senza limite di sorte quanto ella trova necessario ed utile all’eterna loro salute e all’incremento sopra la terra del Regno di Cristo.
  2. Quando il gran Pontefice Adriano I. scrisse a Carlo Magno (ann. 784) per fargli conoscere che alla potestà laica non apparteneva l’entrare nelle elezioni de’ Vescovi, e che dovea lasciarle libere, allora ebbe alle mani il Papa un argomento persuasivo e calzante da fare a Carlo, e questo fu, che nè pure egli, sebbene fosse il Papa, s’ingeriva nelle elezioni, perchè meglio si rimanessero libere. E di fatti fece uso Adriano di questo argomento: ecco le sue parole: Nunquam nos in qualibet electione invenimus nec invenire avemus. Sed neque Vestram Excellentiam optamus in talem rem incumbere. Sed qualis a Clero et plebe .... electus canonice fuerit, et nihil sit quod sacro obsit ordini, solita traditione illum ordinamus. (Tom. ii Conc. Gall. p. 93 e 120). Questo argomento, validissimo da fare a’ principi, fu perduto da’ papi, dopo il tempo delle riserve.