Pagina:Dialogo della salute.djvu/65

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schiaffo, ma un infinito debito, non verso una persona ma verso la mia vita. E dalla profondità dell’abisso sorge la voce inaudita:

Niente da aspettare
niente da temere
niente chiedere — e tutto dare
non andare
ma permanere.
Non c’è premio — non c’è posa.
La vita tutta una dura cosa.

L’intendi? La via non è più via, poichè le vie e i modi sono l’eterno fluire e urtarsi delle cose che sono e non sono. Ma la salute è di quello che in mezzo a queste consiste; che il proprio bisogno la propria fame lascia fluire attraverso a sè, e consiste; che se mille braccia l’afferrino e con sè lo vogliano trascinare, consiste, e per la propria fermezza rende gli altri fermi. Non ha niente da difendere dagli altri e niente da chiedere loro, poichè per lui non c’è futuro, chè nulla aspetta.

Non ha questa emozione e quella emozione, questo e quel sentimento, gioia, affanno, terrore, entusiasmo; ma il male della comune deficienza una sola voce gli parla e a questa con tutta la sua vita egli resiste in ogni suo punto. Egli guarda in faccia la morte e dà vita ai cadaveri che lo attorniano. E la sua fermezza è una via vertiginosa agli altri che sono nella corrente. E l’oscurità per lui si fende in una scia luminosa. Questo è il lampo che rompe la nebbia.