Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/12

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Lettera Prima 5

no degli Ennj e de’ Pacuvj, che, non discernendo, adorano ancora con una cieca superstizione, ed a peccato terrebbono il sol sospettare in essi d’imperfezione. Da essi imparano una poesia di parole, e prendono i modi più inopportuni, e più aspri alla poesia dilettevole, e illustre, quasi bellezze consacrate dal tempo, e dai servili adoratori. Io voglio parlarvi di questo inganno alquanto posatamente. Ciò credo esser permesso a Virgilio senza pericolo, dopo morte, ed in luogo ove l’invidia non può. L’amor della Patria, e della Poesia, che mi segue ancora tra l’ombre, è quel sol che mi spira, e se da un morto la verità non udite da chi la sperate oggimai? Qui non giunge l’adulazione, o la gloria de’ titoli, nè privilegio, o mercede, o diploma vi chieggo. Voi sedete legislatori, e giudici in un tribunale supremo di Poesia; voi mandate colonie poetiche in ogni terra italiana; voi date poetica cittadinanza perfino ai Rè dell’Europa, e alle nazioni straniere, e in ciò sembrate antichi romani: dee dunque piacervi il mio zelo. Che se alcuno se ne dorrà, e leverà la voce contro di me, ricordisi almeno, che parla a un morto.