Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/26

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Lettera Terza 19

ma insieme fu riconosciuto veridico, e giudicioso nella sostanza delle sue critiche. Allor tutte quell’ombre di Poeti, che mi stavano attorno, e massimamente i Greci, che si dolevano del torto lor fatto per tanto tempo dagl’italiani, i quali avean messo Dante in pari sede con esso loro, dimandarono d’esser redintegrati. Fu dunque deciso, che Dante non dovesse aver luogo tra loro non avendo il suo Poema veruna forma regolare, e secondo l’arte. Esiodo, Lucrezio e gli altri autori di poemi istorici, o filosofici a’ quali parea più tosto appartenere, ricusaron d’ammetterlo, se non si purgava di tante finzioni, ed invenzioni capricciose, e non ragionevoli, che forman peraltro una gran parte dell’opera. Terenzio, Aristofane, e i Comici dimostrarono che per un titolo di comedia non si può divenire Poeta Comico, massimamente dove mai non si ride, e spesso si dorme, infin non trovavasi chi volesse della divina comedia restar onorato, e Dante correva pericolo d’esser escluso dal numero de’ Poeti. Se non che vennemi in mente di propor loro in buon punto un consiglio: ciò fu di estrarre i migliori pezzi di Dante, che a loro stessi avean recato cotanto diletto, e raccoglierli insieme in un piccol volume di tre o quattro canti veramente poetici, e questi ordinare come si può, e i versi poi, che non potrebbero ad altri legarsi, porli da sé a guisa di sentenze, siccome d’Afranio e di Pacuvio fecer gli antichi. A questa condizione accettarono tutti i Poeti Dante per loro compagno, e gli accordarono il privilegio dell’immortalità, che loro è concessa dal fato. Io penso, Arcadi, che non sarete di parere diverso da quello d’Omero, di Virgilio, d’Orazio, d’Anacreonte, e di tutti coloro, che voi stessi tenete per maestri, e per classici in poesia. State sani.