Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/31

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24 Lettera Quarta

di trent’anni, e un cuor sensibile, e delicato, un’anima generosa e inventrice in lodare, e compiangere una fanciulla; ma noi che non la conosciamo, nè per lei sentiamo altro affetto, che l’ispiratoci da’ suoi versi, noi proviamo gran pena a seguirlo senza stanchezza per tanto tempo. Nulla è più dolce, ma nulla è più pronto a stancar dell’affetto. Or qual poesia sarà quella, che canta sul tuono medesimo, e sulla stessa corda sempre trascorre, come Orazio diceva, con una filosofia, ed anzi teologia d’amor sottilissimo innanzi ad un uditore indifferente, e ad un lettore freddo, e sdegnoso?

Ed è possibile, sclamò Tibullo con dolore, che un sì gentile, ed affettuoso Poeta voglia ancor esso recar più tedio che non diletto, e voglia non esser inteso dalle tre parti della sua stessa nazione, e quindi cader nelle mani degl’implacabili comentatori? Un Poeta di lingua vivente, che canta d’amore, e d’una semplice donzelletta, come pur trova il modo di farsi oscuro, enimmatico, ed insoffribile per la rima, e per la durezza nelle tre parti dell’opera sua? Qual gusto è mai codesto degl’italiani di far poesie sublimi insieme, ed incolte, e di ricorrere per gustarle ad un pedante, che lor rompe ogni vezzo con una penna di ferro? Se un distico, se un’epigramma, od un’elegia, non riusciva a noi felicemente, noi la davamo al fuoco essendo certi, che ne avrebbe più danno fatto, che onore, o tanto le tornavam sopra, che venisse perfetta, e sino al fine leggiadra. Come dunque il Petrarca, e chi lo legge ponno soffrire un principio bellissimo, e un finimento schifoso in tanti componimenti?

Del mar Tirreno alla sinistra sponda
Dove rotte dal vento piangon l’onde etc.

Chi crederebbe che, dopo ciò cada il Poeta in un