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È breve il tempo, forse non è ancora un anno, che gli Italiani osarono nel collegio de’ popoli, sul viso de’ Principi, a dispetto del comune nimico, osarono pronunciare due nomi: Libertà e Independenza.

I due nomi, ne’ quali si appunta il diritto e l’orgoglio del Cittadino e della Nazione, parevano insino a quell’ora suggellati nel mistero de’ cuori.

Non dico che verso le sacre idee, da que’ nomi esplicate, mancasse la religione e la fede. Ma i sacerdoti andavano peregrini; e frattanto la luce, dinanzi all’altare, era muta, quasi lampana nel sepolcro.

Voi chiedeste libertà. Il grido solenne, levato sui margini della Dora, ripetuto dall’Arno e dal Tebro, ripetuto ai due lati del Faro, condusse nella maggior parte d’Italia e larghezze e miglioranze civili, le quali, comecché a libertà non raggiungano, certamente a quella si accostano.

Alle pacifiche vostre vittorie non a torto invidiarono la Lombardia, la Venezia, e Modena e Parma e Piacenza. Le quali Provincie (da oltre a 33 anni schiave dello straniero, o dei signorotti dallo straniero medesimo sovrastati) sognarono innanzi tutto di libertà: ma poco stante s’avvidero che l’Austriaco o non l’avrebbe conceduta mai, o non appena conceduta avrebbela rotta e frodata.