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Signori,



V’hanno, o Signori, applicazioni così ovvie di principii così semplici, che appena enunciate noi ci meravigliamo come per farle siasi voluta l’opera lunga e dolorosa dell’esperienza. Uno dei principii i più semplici si è che per operare, e per perfezionarsi è d’uopo essere: dal che ne conseguita che una nazione non può operare se primieramente non esiste. Questa deduzione che è pure una naturalissima applicazione d’un principio generale da tutti professato, fu se non ignorata, al certo oscuramente intravveduta dai grand’uomini de’ tempi passati, e solo ne’ nostri proclamata come un assioma politico.

L’Italia non esiste ancora come nazione. Ella è nella fantasia del poeta, nel pensiero del filosofo, nel cuore di tutti gli italiani, ma non nei gabinetti diplomatici o nei trattati che formavano e formano purtroppo ancora il giure europeo. L’Italia di Roma repubblicana od imperiale, l’Italia guelfa o ghibellina, di Carlo V o di Napoleone, non fu mai l’Italia, che noi intendiamo e vogliamo, cioè l’Italia federale. Per costituire quest’Italia, la via migliore e più opportuna è quella di comporre insieme le moltiplici parti della vasta penisola per mezzo d’un patto che le leghi ed unifichi, e ne formi un sol tutto, col quale si dichiari all’Europa che l’Italia esiste. Ecco quello a cui è chiamato il secolo presente, quello che si propone la so-