Pagina:Eneide (Caro).djvu/186

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[1020-1044] libro iii. 145

1020De la voce e de’ piè. Pascomi d’erbe,
Di coccole e di more e di corgnali,
E di tali altri cibi acerbi e fieri:
Vita e vitto infelice. In questo tempo,
Quanto ho scoperto intorno, unqua non vidi
1025Ch’altro legno già mai qui capitasse,
Salvo ch’i vostri. A voi dunque del tutto
M’addico: e, che che sia, parrammi assai
Fuggir questa nefanda e díra gente.
Voi, pria che qui lasciarmi, ogni supplizio
1030Mi date ed ogni morte. A pena il Greco
Avea ciò detto, ed ecco in su la vetta
Del monte avverso, Polifemo apparve.
Sembrato mi sarebbe un altro monte
A cui la gregge sua pascesse intorno,
1035Se non che si movea con essa insieme,
E torreggiando, inverso la marina
Per l’usato sentier se ne calava:
Mostro orrendo, difforme e smisurato,
Che avea come una grotta oscura in fronte
1040Invece d’occhio, e per bastone un pino,
Onde i passi fermava. Avea d’intorno
La greggia a’ piedi, e la sampogna al collo,
Quella il suo amore, e questa il suo trastullo,
Ond’orbo alleggeriva il duolo in parte.

Caro. — 10. [648-661]