Pagina:Eneide (Caro).djvu/212

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[520-544] libro iv. 171

520E la regia e le torri e me con loro.
Ma ne l’Italia il mio fato mi chiama.
Italia Apollo in Delo, in Licia, ovunque
Vado o mando a spiarne, mi promette.
Quest’è l’amor, quest’è la patria mia.
525Se tu, che di Fenicia sei venuta,
Siedi in Cartago, e ti diletti e godi
Del tuo libico regno, qual divieto,
Qual invidia è la tua, ch’i miei Troiani
Prendano Ausonia? Non lece anco a noi
530Cercar de’ regni esterni? E non cuopre ombra
La terra mai, non mai sorgon le stelle,
Che del mio padre una turbata imago
Non veggia in sogno, e che di ciò ricordo
Non mi porga e spavento. A tutte l’ore
535Del mio figlio sovviemmi, e de l’ingiuria
Che riceve da me sì caro pegno,
Se del regno d’Italia io lo defraudo,
Che li son padre, quando il fato e Giove
Nèl privilegia. E pur dianzi mi venne
540Dal ciel mandato il messaggier celeste
A portarmi di ciò nuova imbasciata
Dal gran re degli Dei. Donna, io ti giuro
Per la lor deità, per la salute
D’ambedue noi, che con quest’occhi ’l vidi


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