Pagina:Eneide (Caro).djvu/224

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[820-844] libro iv. 183

820In lei risorge l’amorosa cura:
E non men che d’amor, d’ira avampando,
Così fra sè farnetica e favella:
E che farò così delusa poi?
Chi più mi seguirà de’ primi amanti?
825Proferirommi per consorte io stessa
D’un Zingaro, d’un Moro, o d’un Arábo,
Quando n’ho vilipesi e rifiutati
Tanti e tai, tante volte? Andrò co’ Teucri
In su l’armata? mi farò soggetta,
830Di regina ch’io sono, e serva a loro?
Sì certo, che gran pro fin qui riporto
De le mie lor usate cortesie:
E grado me n’avranno, e grazia poi.
Ma ciò, dato ch’io voglia, chi permette
835Ch’io l’eseguisca? Chi così schernita
Volentier mi raccoglie? Ahi sfortunata
Dido! ch’ancor non vedi a che sei giunta,
E le frodi non sai di questa iniqua
Schiatta di Laomedonte. E poi che fia
840Per questo? Deggio, sola, in compagnia
Di marinari andar femina errante?
O condur meco i miei Fenici tutti
Con altra armata? e trarli un’altra volta
D’un’altra patria in mare in preda ai venti


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