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21 FRAMMENTI 22

Meno gustosa, non è tal che giunga
A potersi sprezzar. È saporita
La triglia poi, che là nel mar d’Eritro
Da quella spiaggia non lontan si pesca.

        Di fresca e grossa aulopìa la testa
Cerca comprare in mezzo della state,
Allor che Febo sull’estremo cerchio
Guida il suo carro; e presto presto, e calda
La reca a mensa insiem con una salsa
Di triti aromi: convien poi che tutti
Collo schidon gli addomini ne arrosti29.

        Sempre la salpa ho per malvagio pesce,
Al più nel tempo in cui si miete il grano
Si può mangiar: ma sia di Mitilene30.
Quando Orione in ciel sta ver l’occaso,
E del racemo produttor del vino
La madre getta la sua chioma in terra,
T’abbi allora alla mensa un sargo arrosto
Grande quanto si può, sparso di cacio,
Caldo, ammollito dal vigor d’aceto,
Perchè sua carne di natura è tosta.
Di condirmi così ti figgi in mente
Qualunque pesce, la cui carne è dura;
Ma quel che ha carne dilicata e pingue
Basta soltanto che di fino sale
L’aspergi, e l’ungi d’olio, perchè tutta
Tiene in sè la virtù di bel sapore31.

        L’amia in autunno, quando son calate
Ver l’occaso le Plejadi apparecchia
Come ti piace: e perchè dir più oltre?
Quella guastare, se ne avrai pur voglia,
Tu non potrai. Ma se desir ti spinge,
O caro Mosco, di sapere il modo
Con cui vien più gustosa, io pur dirollo.
Nelle foglie di fico la prepara
Con rigamo non molto, senza cacio,
Senz’altro untume; quando l’hai sì concia
Semplicemente, in mezzo a quelle foglie
L’avvolgi, e sopra legala con giunco.
Mettila poscia sotto il cener caldo,
E colla mente va cogliendo il tempo
Che sia bene arrostita, e statti all’erta
Di non farla bruciar: ma t’abbi quella
Dell’amena Bizanzio se eccellente
Aver la vuoi; buona la trovi ancora
Se a Bizanzio vicino ella è pescata;
Ma se ti scosti più di gusto manca;
E se del mare Egeo passi lo stretto,
Tanto di quella nel sapor diversa

Ritrovando s’andrà, che scorno reca
Alle lodi da me fattele in pria32.

        L’asia disprezza, che non è d’Atene,
O sia di quella razza che da’ Joni
Spuma s’appella. Sì questa tu prendi
Fresca e pescata ne’ profondi e curvi
Sen di Falero, o se ti piace, in Rodi
Circondata di mar, dove gentile
Trovasi ancor quando là proprio nasce.
Ma se vago tu sei di ben gustarla,
Comprar bisogna le marine ortiche
Tutte intorno comate, e poi che insieme
Mescolate tra lor le avrai, le friggi
In padella nell’olio, in cui tritati
Vi sien d’erbucce gli odorosi fiori33.
Compra in Eno ed in Ponto il pesce porco,
Che alcuni chiaman cavator di sabbia,
Lessane il capo senza condimento,
Ma dentro l’acqua lo rivolta spesso.
Indi v’aggiungi ben tritato issopo,
E, s’altro vi desii, sopra vi spargi
Aceto forte. Poscia intigni, e ’l mangia
Con tal fretta inghiottendo, che ti paja
Di soffocarti. Il dorso e la più parte
Di tal pesce convien di farli arrosto34.

        Prendi in Mileto dal Gesone il cefalo,
E il pesce lupo dagli dei allevato,
Perchè quel luogo per natura porta
Questi eccellenti. Altri, ver è, più grassi
Ve n’han, che nutre la palude Bolbe,
Ambracia ricca, e Calidon famosa;
Ma a questi pare che nel ventre manchi
Quel tale grasso, che soave olezza,
E quel sapore, che soave punge.
Son quelli, amico, di stupendo gusto.
Gli stessi interi, con tutte le squame,
Arrosti acconciamente a lento fuoco,
E poi con acqua e sale a mensa reca.
Ma non ti assista mentre gli apparecchi
Di Siracusa o dell’Italia alcuno,
Giacchè costoro preparar non sanno
I buoni pesci, e guastan le vivande
Ogni cosa di cacio essi imbrattando,
E di liquido aceto, e di salato
Silfio spargendo. I pesciolin di scoglio,
Questi che son del tutto da esecrarsi,
Sanno essi preparar meglio che gli altri:
E son valenti nel formar con arte
Più e più sorti di manicaretti
Pieni tutti d’inezie e di leccumi35.