Pagina:Gli sposi promessi I.djvu/9

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viii prefazione

superbi e fiacca potenti, pur essendo misericorde verso tutte le sue creature, dalle più malvage delle quali compone anzi esempi di nuove santità.

Da quando tanta potenza in un poeta italiano? Bisogna volare alle fantasie portentose dell’Ariosto e del Boccaccio, a quella sovrumana dell’Alighieri. Se poi si riflette all’altezza dei propositi civili morali politici, all’efficacia degli effetti ottenuti da questi grandi con la bellezza d’un’arte che pare insuperabile: se si tien anche presente come il romanzo glorioso sia preceduto dagl’Inni sacri, dal Conte di Carmagnola dall’ode Marzo 1821 e s’accompagni in parte all’Adelchi, e all’altissimo Cinque maggio, per non dire d’altre cose minori; chi negherà che il Manzoni non istia piuttosto accanto al poeta della Commedia divina, quale autore d’una commedia umana, a cui veglia il divino? Dante alle soglie d’una nuova età per l’Italia nostra, che sfugge oramai al tumultuario Medio Evo e al moribondo Impero, e s’afferma, nella Rinascita, arte, pensiero individualissimi e sovrani sopra quelli d’ogni altro popolo, non meno che chiara aspirazione politica nazionale; il Manzoni al limite estremo delle oppressioni straniere, alla cui scomparsa egli anelò ardentemente e cooperò efficacissimamente. Dall’uno l’immagine di quell’Italia bella, giardino di Romano Impero, benché non piú possibile, con a capo sovrani ben ad altro intenti e a tutt’altro adatti che alla grandezza della romanità: l’immagine che può dirsi preparatrice di giusta e orgogliosa coscienza della patria; dall’altro l’Italia, nazione accanto alle nazioni, sorella loro,

«Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.»

Ebbene, in questo primo getto la potenza creatrice del Manzoni, varia e inesauribile, appare veramente per intero: come in fogli leonardeschi o michelangioleschi, tu vi vedi il