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freschi logori di quel tempo, e sepolcri de’ Federici. — Abitanti 919.


Borno si dice Buren, e rammenta l’antico tedesca burn ferro, il Buren, feudo del padre di Federico Barbarossa, ed i borni o rupi di Dante. Si trova nominato primamente in diploma dell’anno 816 Burnus, ma vi si rinvennero due lapidi romane a Mercurio, onde s’argomenta fosse stazione commerciale per Valle di Scalve. Nessun comune di Lombardia ha sì vasto e regolare manto di selve, nessuno dal 1870 le coltiva meglio. Ora partendole in ottanta lotti da tagliarne uno ogni anno, potrebbe cavarne un prodotto annuale di quaranta mila lire. E tutto un dolce grembo verde di belle praterie svolgentesi verso Azzone di Valle Scalve, e coltivando luliana ed uva rossa gaina a pergolati bassi in sito aprico, può ottenere anche vino. Le belle selve di Borno pigliano l’estensione di 820 ettari, i pascoli sono ettari 647, pei quali sino dal 1018 Borno contese forte cogli Scalvini sulla proprietà del monte Negrino. Nell’oratorio di S. Antonio di Borno erano a freschi del Romanino; ora deturpati da rinuovamenti sconci. Altro a fresco del 1500 ha nella volta della chiesetta Madonna Dazza. Sono frazioni di Borno: l’Annunciata, dove in costiera d’ampia e vaga veduta sta un bel chiostro di cappuccini; sulla facciata della cui chiesa