Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/22

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gratularsi, di compiangere, di domandare; e tutte sciamavano di dispiacere, udendo che Lucia se ne andrebbe il domani. Gli uomini gareggiavano nell’offrire servigi; ognuno voleva star quella notte a guardia della casetta. Sul qual fatto, il nostro anonimo stimò bene di formare un proverbio: volete aver molti in aiuto? fate di non averne bisogno.

Tante accoglienze confondevano e imbalordivano Lucia; ma, in sostanza; le fecero bene, distraendola un poco dai pensieri e dalle rimembranze che, pur troppo, anche in mezzo al frastuono, le si suscitavano, in su quell’uscio, in quelle stanzette, alla vista d’ogni oggetto.

Al tocco della campana, che annunziava vicino il cominciar delle funzioni, tutti si mossero verso la chiesa, e fu, per le ritornate, un’altra passeggiata trionfale.

Terminate le funzioni, don Abbondio, che era corso a vedere se Perpetua aveva ben disposto ogni cosa pel desinare, fu avvertito che il cardinale voleva parlar con lui. Andò tosto alla camera dell’alto ospite, il quale, lasciatolo venir presso, “signor curato,” cominciò; e quelle parole furon porte in modo, da dover capire, ch’erano il principio di un discorso lungo e serio: “signor curato; perchè non avete voi unita in matrimonio codesta Lucia col suo promesso sposo?”