Pagina:Il Bardo della Selva Nera.djvu/88

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76 il bardo

Chè pari a Giove ei pur talor discende
     Alla dolcezza d’ospital convito.
     N’esulta in cor l’Egizïano, e pende
     Da quelle labbra di stupor rapito.
     325Se in lui veder nelle battaglie orrende
     Credette il divo d’Iside marito,
     Or n’udendo il sublime almo sermone,
     Pittagora ascoltar pargli e Platone.
De’ suoi gravi di senno alti pensieri
     330Fa tesoro la fama; e sì voi pure,
     Moli eterne di Cëope e di Meri,
     Li parlerete coll’età future.
     Il maggior de’ Potenti e de’ guerrieri
     Qui, direte, s’assise, e le mature
     335Sentenze svolse del profondo petto,
     E fu degno di cedro ogni suo detto.
Gli occhi alzando di Cëope al sublime
     Monumento, dell’arte immenso affanno,
     Contra cui le già stanche e mute lime
     340Del tempo vorator dente non hanno,
     Venti secoli e venti dalle cime
     Di quella mole a contemplar ci stanno,
     Sclamò l’Eroe. L’udì la fama, e disse:
     Cadrà quel masso, non quel detto. E scrisse.