Pagina:Il dottor Antonio.djvu/193

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le sicilie. 189

ma perchè ogni mia ora era occupata nei doveri della mia professione. Benchè la mortalità fosse minore che in Palermo, il cholera faceva pure una grande strage in Catania, e giorno e notte io era in giro. Una sera del mese di marzo fui chiamato da un caro amico, caduto improvvisamente malato. Avevo appena riconosciuti i primi sintomi della malattia dominante, quando una mano di soldati entrò in camera. Un ordine d’arresto era stato rilasciato; e un sergente, alla testa di una mezza dozzina d’uomini, era stato spedito a impadronirsi di lui. Fu comandato al povero malato di alzarsi da letto, e prepararsi ad accompagnare i soldati. M’interposi facendo conoscere il mio nome e la mia professione, e dissi che portar via il mio amico in quello stato era lo stesso che ucciderlo; e ne avvertivo il sergente per la grave responsabilità che prendeva sopra di sè. Mi fu risposto che i suoi erano ordini precisi, e che, morto o vivo, il mio amico doveva andare con lui; e ciò dicendo il sergente portò via il lenzuolo dal letto. A quest’atto brutale perdetti la mia freddezza d’animo. Non so che cosa dicessi o facessi quel giorno; ma finì che fui ammanettato, tirato fuori per forza dalla casa, e portato in istrada.

«Molto non avevamo camminato, quando c’incontrammo in un uffiziale, e di alto grado per quanto ne potei giudicare nell’oscurità sopraggiunta. Fece fermar la mia scorta e indirizzò alcune domande al sergente. «Un medico!» sentii esclamare quello sconosciuto; «non è tempo questo da arrestar medici, mio buon amico.» E dopo alcune altre parole fui liberato dalle manette; e l’uffiziale mi prese sotto braccio e mi condusse da una parte, mentre il sergente e i suoi uomini andavano dall’altra. Trovandomi vicino a lui, vidi allora dalle spalline che il mio compagno era un generale. — «Dove volete andare?» chiese. Dissi la strada ove abitavo. Accompagnommi alla mia porta, e licenziandosi mi disse: — «Questi sono tempi difficili, e un’accusa di ribellione è un affar serio. Se io avessi un consiglio a darvi, sarebbe di scappar via quanto prima potete;» e così dicendo mi lasciò. Ecco il caso, per il quale andai in esilio. Molto meno di quanto io avessi detto o fatto in quel giorno, era costato a più d’uno la vita. Insistette mia madre e mio zio perchè seguissi il consiglio di quell’incognito amico, e così feci. Di poi ho conosciuto il suo nome; nè sono il solo cui egli sia riuscito a salvare la vita. Dio lo benedica! Son felice e altero di poter dire ch’egli è un Siciliano!»

— «E il vostro amico malato?» domandò Lucy.