Pagina:Il mio Carso.djvu/101

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Io sono come voi, non badate. Le mani del giovane barbaro sono diventate bianche e deboli come le mani delle femmine. Ora è tempo di sognare: alberi spaccati, schiene frustate, altre cose. Tante altre forti cose.


Mamma mi diceva timidamente ch’era naturale non dormissi, tutto il giorno su e giù per la tua stanzetta senz’aria! ― Come un condannato: cinque passi in su e cinque in giù, fra due scaffali di libri letti e riletti e un muro bianco dove sta scritto da tanto tempo: Tutte le cose son vere, ma alcune accadono ora, altre accadranno nel futuro. E s’io ti racconto in questa triste notte invernale d’una fata che viene portando odoranti fiori in grembo, tu mi devi credere, o povera anima mia. ― È passato parecchio tempo. Ora il piccolo salmo è tagliato con un frego del dito. È scritto anche, a lapis rosso: Guardami ben: ben son, ben son Beatrice.

Su e giù, giù e su. E poi sedere davanti a questo piccolo tavolinetto, e poi sdraiarsi per terra. In strada gl’innumerevoli bimbi urlano e piangono e tiran sassate sulla ruletta chiusa dell’erbivendola. Tornano in rimessa, con gran fracasso, i carri d’una fabbrica di birra. La casa grigia di fronte è orribile. Quando piove, sgocciola di sudore giallastro. La luce invade camere soffocate, angoli di grandi armadi scrostati, uno straccio per terra, una donna grassa che si leva le calze. A qualunque ora del giorno sono ammassate sulle finestre lenzuola e coperte stinte. Tutto il giorno c’è una brutta baba sdentata che sbraita di-