Pagina:Il piacere.djvu/139

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l’ignea fascia che le stringeva ad unità, le sue forze tornavano al primitivo disordine. Non potendo più conformarsi, adeguarsi, assimilarsi a una superior forma dominatrice, l’anima sua, camaleontica, mutabile, fluida, virtuale si trasformava, si difformava, prendeva tutte le forme. Egli passava dall’uno all’altro amore con incredibile leggerezza; vagheggiava nel tempo medesimo diversi amori; tesseva, senza scrupolo, una gran trama d’inganni, di finzioni, di menzogne, d’insidie, per raccogliere il maggior numero di prede. L’abitudine della falsità gli ottundeva la conscienza. Per la continua mancanza della riflessione, egli diveniva a poco a poco impenetrabile a sè stesso, rimaneva fuori del suo mistero. A poco a poco egli quasi giungeva a non vedere più la sua vita interiore, in quella guisa che l’emisfero esterno della terra non vede il sole pur essendogli legato indissolubilmente. Sempre vivo, spietatamente vivo, era in lui un istinto: l’istinto del distacco da tutto ciò che l’attraeva senza avvincerlo. E la volontà, disutile come una spada di cattiva tempra, pendeva al fianco di un ebro o di un inerte.

Il ricordo di Elena talvolta, risorgendo d’improvviso, lo riempiva; ed egli o cercava di sottrarsi alle malinconie del rimpianto o piacevasi invece rivivere nella imaginazione viziata l’eccessività di quella vita, per averne uno stimolo ai nuovi amori. Ripeteva a sè stesso le parole del lied: “Ricorda i giorni spenti! E metti su le labbra della seconda baci soavi quanto quelli che tu davi alla prima, non è gran tempo!„