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― Francesca s’era già levata, quando siete discesa? ― domandò Andrea.

― Oh, no! È d’una pigrizia incredibile... Ecco Delfina. La vedete?

La bimba discendeva rapidamente, seguita dalla sua governante. Invisibile giù per le scale, riappariva su i terrazzi ch’ella attraversava correndo. I capelli disciolti le ondeggiavano per le spalle, nel vento della corsa, sotto una larga paglia coronata di papaveri. Quando fu all’ultimo gradino, aperse le braccia verso la madre e la baciò tante volte su le guance. Poi disse:

― Buon giorno, Andrea.

E gli porse la fronte, con un atto infantile d’adorabile grazia.

Era una creatura fragile e vibrante come uno strumento formato di materie sensibili. Le sue membra eran così delicate che parevan quasi non poter nascondere e nè pur velare lo splendor dello spirito entro vivente, come una fiamma in una lampada preziosa, d’una vita intensa e dolce.

― Amore! ― sussurrò la madre, guardandola con uno sguardo indescrivibile, nel quale esalavasi tutta la tenerezza dell’anima occupata da quell’unico affetto.

E Andrea ebbe dalla parola, dallo sguardo, dall’espressione, dalla carezza una specie di gelosia, una specie di scoramento, come s’egli sentisse l’anima di lei allontanarsi, sfuggirgli per sempre, divenire inaccessibile.

La governante chiese licenza di risalire; ed essi presero il viale delli aranci. Delfina correva innanzi, spingendo un suo cerchio; e le sue