Pagina:Il piacere.djvu/230

Da Wikisource.

― 218 ―

― Chi ha scritto qui? Voi? ― domandò ad Andrea, sorpresa e lieta. ― Sì; è la vostra scrittura.

E, súbito, si mise in ginocchio su l’erba a leggere; curiosa, quasi avida. Per imitazione, Delfina si chinò dietro la madre, cingendole il collo con le braccia e avanzando il viso contro una guancia di lei e così quasi coprendola. La madre mormorava le rime. E quelle due figure muliebri, chine a piè dell’alta pietra ghirlandata, nella dubbia luce, tra gli acanti simbolici, facevano un componimento di linee e di colori tanto armonioso che il poeta per qualche istante restò sotto il dominio unico del godimento estetico e della pura ammirazione.

Ma ancora l’oscura gelosia lo punse. Quella creatura sottile, così avviticchiata alla madre, così intimamente confusa con l’anima di lei, gli parve una nemica; gli parve un insormontabile ostacolo che s’inalzasse contro il suo amore, contro il suo desiderio, contro la sua speranza. Egli non era geloso del marito ed era geloso della figlia. Egli voleva possedere non il corpo ma l’anima, di quella donna; e possedere l’anima intera, con tutte le tenerezze, con tutte le gioie, con tutti i timori, con tutte le angosce, con tutti i sogni, con tutta quanta insomma la vita dell’anima; e poter dire: ― Io sono la vita della sua vita.

La figlia, invece, aveva quel possesso, incontrastato, assoluto, continuo. Pareva che mancasse alla madre un elemento essenziale della sua esistenza, quando per poco l’adorata era lontana. Una transfigurazione subitanea avve-