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l’uno accanto all’altro, ornate di storie mitologiche in basso rilievo. Le bocche dovevan esser cento, perchè il viale si chiamava delle Cento Fontane; ma alcune non versavano più, chiuse dal tempo, altre versavano appena. Molti scudi erano infranti e il musco aveva coperta l’impresa; molti alerioni eran decapitati; le figure dei bassi rilievi apparivano tra il musco come pezzi d’argenteria mal nascosti sotto un vecchio velluto lacerato. Nelle vasche, su l’acqua più limpida e più verde d’uno smeraldo, tremolava il capelvenere o galleggiava qualche foglia di rosa caduta dai cespugli di sopra; e le cannelle superstiti facevano un canto roco e soave che correva sul romore del mare, come una melodia su l’accompagnamento.

― Udite? ― chiese Donna Maria, soffermandosi, tendendo l’orecchio, presa all’incanto di quei suoni. ― La musica dell’acqua amara e dell’acqua dolce!

Ella stava in mezzo del sentiere, un po’ china verso le fontane, attratta più dalla melodia, con l’indice sollevato verso la bocca nell’atto involontario di chi teme sia turbata la sua ascoltazione. Andrea, ch’era più presso alle vasche, la vedeva sorgere sopra un fondo di verdura gracile e gentile quale un pittore umbro avrebbe potuto metter dietro un’Annunciazione o una Natività.

― Maria ― mormorò il convalescente, che aveva il cuore gonfio di tenerezza. ― Maria, Maria...

Egli provava un’indicibile voluttà a mescere il nome di lei in quella musica delle acque. Ella