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sue parole, i suoi sguardi, i suoi gesti, i suoi minimi moti entrano nel mio cuore.


23 settembre. ― Quando parliamo insieme, talvolta io sento che la sua voce è come l’eco dell’anima mia.

Accade talvolta che io mi senta spingere da un subitaneo fascino, da un’attrazione cieca, da una violenza irragionevole, verso una frase, verso una parola che potrebbe rivelare la mia debolezza. Mi salvo per prodigio; e viene allora un intervallo di silenzio, nel quale io sono agitata da un terribile tremito interiore. Se riprendo a parlare, io dico una cosa frivola e insignificante, con un tono leggero; ma mi pare che una fiamma mi corra sotto la pelle del viso, quasi ch’io sia per arrossire. S’egli cogliesse quell’attimo per guardarmi risolutamente negli occhi, sarei perduta.

Ho suonato molta musica, di Sebastiano Bach e di Roberto Schumann. Egli stava seduto, come quella sera, alla mia destra, un poco indietro, su la poltrona di cuojo. Di tratto in tratto, alla fine d’ogni pezzo, egli si levava e, chino alle mie spalle, sfogliava il libro per indicarmi un’altra Fuga, un altro Intermezzo, un altro Improvviso. Quindi si metteva di nuovo a sedere; ed ascoltava, senza muoversi, profondamente assorto, con gli occhi fissi sopra di me, facendomi sentire la sua presenza.

Intendeva egli quanto di mio, del mio pensiero, della mia tristezza, del mio essere intimo, passava nella musica altrui?

“Musica, ― chiave d’argento che apri la fontana