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delle lacrime, ove lo spirito beve finchè la mente si smarrisce; soavissima tomba di mille timori, ove la loro madre, l’Inquietudine, simile a un fanciullo che dorma, giace sopita ne’ fiori...„ SHELLEY.

La notte è minacciosa. Un vento caldo e umido soffia nel giardino; e il fremito cupo si prolunga nell’oscurità, poi cade, poi ricomincia più forte. Le vette dei cipressi oscillano sotto un cielo quasi nero, dove le stelle appajono semispente. Una striscia di nuvole attraversa lo spazio, dall’uno all’altro orizzonte, frastagliata, contorta, più nera del cielo, simile alla capigliatura tragica di una Medusa. Il mare nell’oscurità è invisibile; ma singhiozza, come un immenso e inconsolabile dolore, solo.

Che è mai questo sbigottimento? Mi sembra che la notte mi ammonisca d’una sciagura prossima e che all’ammonizione risponda in fondo a me un rimorso indefinito. Il Preludio di Sebastiano Bach ancora m’incalza; si mesce nell’anima mia con il fremito del vento e con il singhiozzo del mare.

Non piangeva, dianzi, qualche cosa di me in quelle note?

Qualcuno piangeva, gemeva, oppresso dall’angoscia; qualcuno piangeva, gemeva, chiamava Dio, domandava il perdono, implorava l’aiuto, pregava con una preghiera che saliva al cielo come una fiamma. Chiamava ed era ascoltato, pregava ed era esaudito; riceveva la luce dall’alto, gittava gridi d’allegrezza, stringeva alfine la Verità e la Pace, si riposava nella clemenza del Signore.