Pagina:Il piacere.djvu/295

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Egli, certo, non dorme. Quando io sono venuta su, egli, invitato, stava per prendere il posto del marchese al tavolo del giuoco, di fronte a mio marito. Giocano ancora? Forse egli pensa e soffre, giocando. Quali saranno i suoi pensieri? Quale sarà la sua sofferenza?

Non ho sonno, non ho sonno. Vado su la loggia. Voglio sapere se giocano ancora; o s’egli è tornato nelle sue stanze. Le sue finestre sono all’angolo, nel secondo piano.

La notte è lucida e umida. La sala del giuoco è illuminata; e io son rimasta là, su la loggia, lungamente, a guardare in giù verso il chiarore che si rifletteva contro un cipresso mescendosi al chiarore della luna. Tremo tutta. Io non so ridire l’impressione quasi tragica che mi fanno quelle finestre illuminate, dietro le quali i due uomini giocano, l’uno di fronte all’altro, nel gran silenzio della notte a pena interrotto dai singhiozzi spenti dal mare. E giocheranno forse fino all’alba, s’egli vorrà compiacere la terribile passione di mio marito. Saremo in tre a vegliare fino all’alba, senza requie, per la passione.

Ma che pensa egli? Qual è la sua tortura? Io non so che darei, in questo momento, per poterlo vedere, per poter restare fino all’alba a guardarlo, anche a traverso i vetri, nell’umidità della notte, tremando come tremo. I pensieri più folli mi balenano dentro e mi abbagliano, rapidi, confusi; ho come un principio di cattiva ebrezza; provo come una instigazione sorda a far qualche cosa d’audace e d’irreparabile; sento come il fascino della perdizione. Mi toglierei,